“Azzardai pure con le cavallette fritte”. Intervista al signor Castroni

Gianluca Roselli

Entrare in un negozio Castroni è come fare il tour del pianeta in dieci minuti: si possono trovare oltre 500 prodotti internazionali in grande varietà. Ma il 50 per cento della merce è nostrana: “Ora si riscoprono le eccellenze italiane”

Roma. Una volta, si era a metà degli anni Novanta, Roberto Castroni azzardò l’acquisto di una partita di cavallette fritte in scatola. Dopo tre mesi nel suo negozio di via Cola di Rienzo non ne aveva venduta nemmeno una confezione. “Per fortuna avevo un cliente vietnamita che si propose di comprarle per la comunità vietnamita romana e me ne liberai…”, racconta ridendo. Già, perché quando si va in giro per il mondo a scoprire prodotti da lanciare in Italia, c’è sempre il rischio del flop. Come la marmellata di ananas: non si vende. Castroni, però, è la storia di un successo. Entrare in un negozio Castroni è come fare il tour del pianeta in una decina di minuti: si possono trovare oltre 500 prodotti internazionali in grande varietà. Almeno 8, per dire, sono le marche di burro di noccioline americano, anche se il migliore è quello indonesiano. Altrettante quelle di sciroppo d’acero, che può essere usato anche come dolcificante nel caffè. Una cinquantina le tipologie di sali provenienti da tutto il mondo. E poi biscotti, muesli, salse di ogni tipo, farine, spezie e aromi, tè e marmellate, chips, frutta secca, creme e zuppe. Si passa dal rosti di patate al dulce de leche argentino (dessert a base di latte), dal guaranà brasiliano al cous cous, dal bulgur al garum (salsa di pesce per insaporire le ricette). Un antro delle meraviglie dove, anche se non si ha bisogno di niente, è difficile uscire a mani vuote.

  

 

Tutto nacque da nonno Umberto, che aveva un chiosco di bevande sul Lungotevere. Poi, nel 1932, l’apertura di un negozietto a Cola di Rienzo, in Prati, per vendere droghe (spezie) e coloniali (tè e caffè). L’upgrade arriva nel 1965: i sei fratelli Castroni iniziano ad aprire altri negozi, viene creata la torrefazione Augusta che ancora oggi fornisce il caffè, mentre Marcello Castroni, padre di Roberto, ha l’intuizione di riempire gli scaffali di prodotti stranieri, provenienti da tutto il mondo. “L’input arrivò dal fatto che il personale delle ambasciate veniva a chiederci prodotti dei loro paesi d’origine. E così abbiamo iniziato a proporre merce internazionale ed è stato un boom”, racconta Roberto Castroni, 62 anni, titolare oltre al negozio principale di via Cola di Rienzo, anche di quello a via Frattina e a viale Marconi, dove già sono impiegati i suoi tre figli (siamo alla quarta generazione).

 

Ma i Castroni sono una sorta di clan: ogni negozio è gestito da uno o più membri della famiglia, nessuno può utilizzare il marchio se non ne fa parte, i negozi in città non possono essere più di quindici: ora sono 13, con una novantina di dipendenti. “Abbiamo fatto dei calcoli e oltre sarebbero troppi. Castroni vuole essere il marchio di un successo tutto romano: abbiamo avuto offerte per aprire in altre città, ma ci siamo sempre rifiutati. Così come abbiamo detto no alle proposte di grandi gruppi, anche finanziari, che volevano rilevare l’attività. Perché quello che ci muove non è solo far soldi, ma la passione per il nostro lavoro da tramandare tra le generazioni…”, prosegue Roberto. I Castroni si definiscono imprenditori del commercio. “Il resto è finanza. Come Oscar Farinetti con Eataly. Che però ha avuto il merito di far conoscere i veri prodotti italiani nel mondo. Il nostro avversario è la grande distribuzione. Per questo dobbiamo essere sempre un passo avanti, arrivare prima, offrendo prodotti di nicchia…”.

 

  

Ogni negozio è diventato un punto di riferimento per i romani. “Ci vediamo da Castroni?”. “Si va a prendere un caffè da Castroni?”. Poi ci sono state varie fasi. “Quando Falcao giocava nella Roma, tutti venivano a chiedere i prodotti brasiliani. Negli anni Duemila, invece, il successo dei libri di Stieg Larsson (la serie Millennium, ndr) ha fatto esplodere i cibi svedesi. Ora si stanno riscoprendo i prodotti dell’eccellenza italiana, tanto che il 50 per cento della merce è nostrana…”, spiega Roberto Castroni. Che per anni ha fatto, e fa ancora, un lavoro bellissimo: viaggiare per il mondo in cerca di nuovi sapori. “La Bibbia per tutti era Fortnum & Mason, la storica drogheria di Londra. Ma noi ci possiamo vantare di essere gli unici in Italia a offrire certi prodotti”. Nel negozio di Cola di Rienzo non mancano i vip. “Con Renato Zero ogni volta è uno show, con Federico Fellini e Giulietta Masina era una grande emozione. Veniva poi sempre una suorina ad acquistare solo prodotti tedeschi: erano per la dispensa di Papa Ratzinger. A Papa Bergoglio abbiamo fatto recapitare un pacco di prodotti argentini…”. Castroni ha uno spaccio anche dentro il Vaticano.

   

  

I negozi sono anche il termometro per misurare i gusti del pubblico. “I romani all’inizio erano scettici. ‘Ma non è meglio una bella amatriciana?’, dicevano, guardando i cibi stranieri. Poi, con i viaggi e il successo dei ristoranti etnici, sono diventati più curiosi e ora sanno già tutto. “Per esempio, a settembre, vendo più etnico. Perché è un po’ come continuare le vacanze…”.

  

Oggi siamo nella fase in cui si sta molto attenti a ciò che si mangia, alla salute, alle coltivazioni che rispettano l’ambiente. Domanda obbligatoria: dove si mangia meglio nel mondo? “Italia e Francia restano imbattibili. E in Italia dico Piemonte. Niente fumo, solo sostanza, e qualità elevatissima”.

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