(foto LaPresse)

Il monopattino elettrico è diventato il simbolo divisivo tra destra e sinistra

Maurizio Crippa

Così un mezzo di trasporto di dubbia efficacia ha rinfocolato una guerra culturale politica

L’immagine iconica del disastro antropologico non viene, grazie a Dio, da Milano ma da Roma. Rocco Casalino che sfreccia in monopattino, sciatto come non dovrebbe in braghette e t-shirt, con le buste della spesa al manubrio: no, l’èra della mobilità sostenibile post Covid non ci renderà migliori. Il video iconico della culture war lo ha invece prodotto e postato di persona sui social, ripreso dal Corriere Tv, il sindaco di Sesto San Giovanni, il forzista Roberto Di Stefano, noto alle cronache anche come compagno di vita di Roberta Sardone, pasionaria salviniana al Parlamento europeo. Nel video, con la scritta: “Polizia locale a confronto - Milano vs Sesto S.G.” mette in parallelo le esercitazioni dei ghisa di Milano e dei vigili di Sesto, per dimostrare l’efficienza securitaria e trumpiana dei suoi (“per questo noi abbiamo voluto le esercitazioni per gli agenti”) contro gli “spot green da campagna elettorale” dei fighetti meneghini. Per esplicitare meglio, ecco l’icona: i vigili di Milano che escono da piazza Beccaria sui monopattini elettrici come andassero a una scampagnata. Divenuti in un sol colpo, via monopattino, simbolo di mollezza nel mantenere l’ordine, e presumibilmente anche di scarso machismo. Il Comune di Milano ha appena annunciato l’introduzione in via sperimentale di ghisa elettrificati per controllare la smart mobility, e tanto basta alla parte avversa per perculare l’intera sinistra.

 

 

Motivi profondi, ancestrali. Il monopattino elettrico, da eccentrico mezzo di trasporto destinato al sogno di un futuro lontano, grazie al Covid e al distanziamento sociale che sconsiglia il tram e le metropolitane ha invaso le nostre vite reali. La giunta di Beppe Sala, già in epoca pre pandemica tra le più attive sul fronte green, ha deciso di puntarci forte: più piste ciclabili, bike elettriche, incentivi economici, monopattini, sharing e tutto ciò che possa scongiurare assembramenti alle fermate e rischio contagi. Si fa di necessità virtù: da qualche parte bisogna cominciare e il momento è questo. Che il monopattino elettrico sia la soluzione – avendolo provato, in pre Covid, ed essendomi anche divertito molto, ed avendone apprezzato le qualità – si può continuare a dubitare. Almeno fintantoché le strade saranno quel che sono, i parcheggi pochi, e la pioggia milanese continuerà a cadere.

 

Ma l’aspetto più interessante è che il monopattino elettrico è diventato simbolo divisivo per due aree politiche e culturali. Per i progressisti green è attenzione al pianeta nonché superiorità etica rispetto a quelli che girano ancora in Suv. Per la destra, anche non necessariamente populista, è solo una belluria da sinistra Ztl, un inutile diversivo, il segno che l’amministrazione (qui di sinistra, ma vale per Roma e Torino cinque stelle) bada solo ai colletti bianchi e ai professionisti radical chic da cerchia dei Bastioni. E butta soldi in piste ciclabili che peggiorano il traffico, in bike sharing che tanto poi paga Pantalone, in limitazioni ingiuste alla mobilità tradizionale e privata. Basta leggere, da mesi, i giornali di destra melon-salviniani per trovare quotidiani attacchi a ciclabili e dintorni, ma soprattutto al monopattino. Tra i più frequenti: incidenti a gogò, perché sono pericolosi; farabutti che sciamano dove non potrebbero; migliaia di mezzi parcheggiati in abusivo sui marciapiedi, mentre se sei automobilista o furgonista ti stangano nel giro di tre minuti. In più, adesso, oltre ad altri soldi “buttati” per mettere in pista nuovi mezzi, c’è anche quest’ultimo insulto: il ghisa in monopattino.

 

Una spaccatura antropologica, si potrebbe dire. Del resto qui a Milano (ma non solo qui) il “traffico”, che per Johnny Stecchino era il vero problema di Palermo, segna una spaccatura insanabile tra i regolamentatori compulsivi e i difensori della deregulation circolatoria. Si cominciò ai tempi di Ignazio La Russa, che lottava contro il potenziamento delle strisce gialle e blu per i parcheggi (contro Letizia Moratti, si badi, non Rosa Luxemburg). Poi le polemiche contro Pisapia e Sala per le aree C e B. E ora la mobilità sostenibile. Circolare in auto, e non con quei buffi giocattoli che il Comune vorrebbe imporre, per la destra è rivendicazione di libertà. Un po’ come in America, dove la linea di confine invalicabile della libertà personale è portare le armi, in Italia viaggiare come si vuole è il segno distintivo degli uomini liberi. Il resto è big state, e i ghisa in monopattino degli alieni invasori.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"