Giorgia Meloni - foto Ansa

L'editoriale del direttore

Pericolo per la democrazia? Suvvia. Buone ragioni per sostenere il premierato 

Claudio Cerasa

Non importa essere elettori di Meloni per poter apprezzare la riforma costituzionale che propone: la direzione è quella giusta per rendere ancora più bella la Costituzione più bella del mondo. Qualche spunto

La soluzione per evitare di raccontare frottole in fondo sarebbe semplice: concentrarsi un po’ più sul premierato e un po’ meno sulla premier. La soluzione per evitare di raccontare frottole, di fronte alla riforma costituzionale proposta dal governo, è quella di dedicare un po’ meno attenzione a chi la riforma la sta proponendo e di dedicare un po’ più di attenzione a ciò che la riforma implica ed è quella di dedicare un po’ di attenzione a quelle che a oggi sono le implicazioni di una riforma certamente perfettibile, certamente migliorabile ma certamente non pericolosa, come hanno cominciato a sostenere le vestali pigre della Costituzione più bella del mondo.

 

 

Le cose stanno più o meno così. Due giorni fa, la commissione Affari costituzionali del Senato ha terminato l’analisi dell’articolo 3 del disegno di legge costituzionale presentato dal governo. L’articolo prevede tre punti. Uno è noto: “Il presidente del Consiglio sarà eletto tramite suffragio universale e diretto per un mandato di cinque anni”. Il secondo è una novità: “Il presidente del Consiglio potrà rimanere in carica per non più di due legislature consecutive”. Il terzo è una promessa: il sistema elettorale con cui verrà scelto il Parlamento del futuro è rimandato a una legge elettorale maggioritaria, con un premio, che a differenza di quanto precedentemente affermato dal governo non darà necessariamente un premio pari al 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere. Nel corso del dibattito in commissione, infine, il governo, altra sorpresa, sorpresa positiva, non ha escluso che si possa anche ragionare su una legge elettorale che permetterebbe al sistema istituzionale di avere finalmente il famoso sindaco d’Italia: il doppio turno nel caso in cui nessuno dei candidati premier delle prime due coalizioni vincenti raggiunga il 40 per cento dei consensi. Questi i dettagli, la cronaca. Ma accanto ai dettagli ci sono dei possibili giudizi, dei ragionamenti, che ci permettono di capire perché il premierato non è la riforma più bella del mondo ma è una riforma che potrebbe aiutare la Costituzione più bella del mondo a essere ancora più bella, più moderna, più efficiente, più all’altezza delle sfide di un paese come l’Italia.
 

La questione potrebbe essere così riassumibile: una legge che offre al premier la possibilità di nominare e di revocare i ministri; una legge che permette a un paese di avere un governo più stabile; una legge che consente a un Parlamento di avere coalizioni meno ballerine; una legge che sana un virus del sistema, ovvero la possibilità che vi siano parlamenti governabili solo attraverso maggioranze artificiose ideate dal capo dello stato; una legge che preserva gran parte delle funzioni del presidente della Repubblica, presiedere il Consiglio di supremo di difesa, detenere il comando delle Forze armate, presiedere il Csm, nominare un terzo dei componenti della Consulta, concedere la grazia, commutare le pene, eccezion fatta per la possibilità di sciogliere a propria discrezione le Camere; una legge che permette di limitare i danni del parlamentarismo; una legge che permette di avere una durata media dei governi diversa rispetto a quella avuta in passato dall’Italia, un anno e mezzo; una legge che contiene tutti questi elementi può essere considerata “pericolosa”, “eversiva”, “estremista” solo da chi considera la non governabilità, il parlamentarismo esasperato e l’instabilità come argini all’estremismo.
 

Ci sono molti dettagli che possono essere migliorati ma è difficile non dare ragione al nostro adorato Sabino Cassese quando dice che la riforma costituzionale non è perfetta ma permette al paese di incamminarsi sulla strada giusta, verso una direzione giusta e verso una svolta giusta al centro della quale non vi è la volontà di assecondare i populisti ma il desiderio di considerare la governabilità non come una minaccia ma come un valore aggiunto per il suo futuro, la sua efficienza e la sua competitività. Il premier è quello che è, ma il premierato, suvvia, non è così male.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.