Il racconto

La "noia" di Mario Draghi. Parla la moglie Serenella: "La politica non lo ama. In Europa non ci andrà"

Carmelo Caruso

Storia malinconica di un presidente che poteva essere tutto ed è rimasto un semplice cittadino. Il suo mondo ridotto a un piccolo quartiere milanese. L’unica persona che rilancia è la moglie, Serenella

Al ristorante prenota come Mario Cappello, la domenica compra il petto di pollo, lo spritz lo ordina al bar cinese. Mario Draghi si annoia, a Milano. Abbiamo fermato la moglie Serenella che all’inizio ci ha chiesto “ma voi chi siete, qui che ci fate?”, “come sapete che io sono…”, poi, da nonna, da mamma, “si avvicini, si faccia guardare”, ma “davvero, lei, sta qui sotto da …?”. Era con il cane Enea, le ciabattine ai piedi, ma era magnifica, anche perché ha detto la verità della signora Cappello-Draghi: “La politica non ama mio marito. I politici lo temono. In Europa lui non ci andrà. Del resto si è già visto in un’occasione come è andata a finire… Non lo manderanno mai. Non lo vogliono. E’ un uomo che parla con competenza, non improvvisa. Si prepara. Ma perché anche voi giornalisti lo detestate? Vi metteva paura? Ah, ma lui è fatto così. Non gli piace che si scriva della sua vita. Se fosse per mio marito si dovrebbe parlare e scrivere il meno possibile e con precisione. E’ severo, certo che lo è. Lo è sempre stato. Vuol dirlo a me? Io ne so qualcosa, sa da quanto?”. Da quanto, signora? “Da più di cinquant’anni”. Signora Cappello, e se suo marito venisse indicato per presiedere il Consiglio europeo o capo della Commissione europea, al posto di von der Leyen? “Ah, sì? E allora questa è la volta buona che … Non scriva nulla. Guardi che la vengo a prendere sotto alla redazione. Intesi?”.

 

Siamo venuti a Milano a cercare un’ombra e alla fine abbiamo trovato la donna che tiene la mano dell’ombra. Siamo venuti a cercare un ex presidente del Consiglio che non riesce più a stare fermo e che viene candidato, ancora una volta, come è stato per il Quirinale, a qualcosa, alla presidenza del Consiglio europeo o alla Commissione Europea. Ha lasciato Roma e si è trasferito a Milano, ma quando è a Milano dice che è a Roma e quando è a Roma fa sapere di essere a Città della Pieve, in campagna. Quando è a Città della Pieve risponde che è all’estero, a Bruxelles, per il suo rapporto sulla competitività da consegnare alla Commissione. Rimane dietro la tenda di un palazzone giallo dove all’ultimo piano ci sono le stanze delle serve, e il rumore del tram, che porta a Roserio, accompagna il sonno, il più tenero, quello del primo pomeriggio. Alle 15, qui, Milano riposa. La stazione dei taxi dista solo sei passi da casa Cappello-Draghi. Il citofono è d’ottone e ci sono solo numeri, la chiostrina interna somiglia all’ingresso di una banca. Il marmo è grigio e bianco. Al piano terra incontriamo la portiera rumena che quando lo vede entrare e uscire non si scompone perché per lei, dice, “il presidente è un inquilino, solo che lui andava in televisione. Era bravo”. Draghi vuole sparire sotto questo cielo sporco. Per vincere quella cosa, quell’umore cattivo, che a volte lo prende, organizza cene, e crede così di sconfiggerla, di allontanarla, ma poi ricompare. Frank Sinatra quando aveva il “raffreddore” non riusciva a cantare, Draghi, senza un incarico, senza una missione, con la noia, è come Sinatra senza voce. Quando gli prende quella cosa che gli increspa la fronte, scende al bar dove il cocktail “Hugo” è in vendita a 4 euro. In una di queste sue ultime cene, dove c’è sempre qualcuno che lo studia per raccontarlo, per restituirne un pezzo, Draghi avrebbe lasciato intendere che forse sì, ci potrebbero essere “le condizioni” per guidare la Commissione, ma subito dopo, pensando di aver aperto un suo cassetto, ha precisato “che è impraticabile, impossibile”.


Lo cerchiamo bussando, comprando calendule e matite, e chiedendo, “lo avete visto? Abita da queste parti l’ex presidente Draghi?”. Lo cerco grazie a una frase spiritosa che conteneva un’indicazione, una via intera da calpestare. Lo cerchiamo in questo quartiere dove è facile sorridere in compagnia di John e Marica, due studenti di Ingegneria, già in canottiera, qui dove Milano sembra essere Venezia, ma senza acqua, e un chilo di pane costa otto euro, i ravioli a 23 euro, perché, si difende il gastronomo Mirco, “sa il costo dell’affitto è aumentato come la materia prima. Sono prezzi giusti”. Per conoscere il suo futuro proviamo a chiedere alla cartomante Mirella, nata a Pompei, che legge il destino a dieci euro e che incoraggia: “Ci provi, è importante”, perché “tutti hanno bisogno di saperlo, pure il presidente Draghi. Peccato, che non ce l’abbia fatta per il Quirinale. Se solo me l’avesse chiesto… ”. E questa volta? “Gli astri non sono allineati ma ho sentito che la donna, la Ursula, non se la passa bene e che Macron e Scholz, quelli del treno, gli sono amici”. Non è poi tanto diverso da un editoriale di Politico.eu. Legge l’avvenire in una via stretta, di fronte a un negozio di antichità, tra fragranze di iris e laboratori che garantiscono una super ricostruzione delle unghie. Se ne possono contare almeno quattro. Domandiamo all’estetista se sia mai entrato Draghi ma risponde che “qui si riceve per appuntamento e che pure Draghi dovrebbe prenotare. Comunque non l’ho visto”. L’ultima volta che Draghi si è mostrato in pubblico era a fine novembre, a Roma, alla chiesa di Sant’Ignazio, per presentare il libro di Aldo Cazzullo.

 

Da allora nessuno sa come trascorre le sue giornate. Paola Ansuini, che è stata la sua portavoce a Palazzo Chigi, ripete che “è impegnato”. Viaggia in aereo. Il primo a parlare della “noia” di Draghi è stato un direttore, un giornalista, che lo conosce da quando Draghi lavorava al ministero del Tesoro: “A stare fermo si annoia, ma l’idea di correre da una riunione all’altra, della Commissione, finirebbe anche questa per annoiarlo. Ma lo immagina Draghi a fare il nonno? Tutto il giorno in casa?”. Non ha mai voluto raccontare cosa leggesse, cosa ascoltasse, neppure che vino bevesse, rosso, perché per Draghi non si deve parlare della sua famiglia e chi lo ha fatto, ed è un avviso, “lo ha mandato in collera”. L’unico dei suoi ex ministri con cui si sente, con frequenza, è Vittorio Colao che lo aiuta a redigere il rapporto insieme a Paolo D’Aprile, l’ex coordinatore dell’unità di missione Pnrr. Chiediamo a uno dei suoi ragazzi di Palazzo Chigi a che punto sia questo rapporto e ci viene risposto “che è una sciocchezza. Cosa volete che sia per Draghi un rapporto. E’ Draghi, l’uomo che ha salvato la moneta unica, che ha privatizzato il dieci per cento del Pil italiano. Potrebbe scriverlo anche poche ore prima della presentazione”. Da mesi questo “lavoro” lo accompagna, come un’opera minore può accompagnare uno scrittore in crisi o un uomo che non riesce a capire dove stia andando e che risponde: “Avrei quel lavoro da consegnare”. A 74 anni, Draghi fa il pensionato d’Europa e il nonno insieme alla moglie Serenella, la sola che è riuscita a farlo risultare popolare con la complicità di un barista romano che le chiese “ma suo marito vuole fare il presidente della Repubblica?” e lei: “Sì, sì”. A Milano abita la nipotina, la figlia Federica, che porta il nome del maestro di Draghi, l’economista Federico Caffè, che il 15 aprile 1987 non tornò mai più a casa. Siamo qui sotto, per strada, da ore, e Draghi rimane un’ossessione. Il portone è stato chiuso. Cerchiamo il volto di Federica Draghi ma in un negozio di abiti usati si sente il suono, la parola “Draghi”, il cognome, pronunciato in radio. Tentiamo in farmacia perché anche un ex presidente avrà mal di testa, ma la farmacista dice che “queste sono informazioni che non le posso dare”. In chiesa, che è aperta e calda, ci sono solo fedeli inglesi perché i preti milanesi, come il papa, hanno issato bandiera bianca. La prima a dire che è vero, che Draghi abita “lì, proprio lì. Si giri, al numero …”, e che indica il civico, è la cameriera di un bar di belle pretese: “Gli ho portato un giorno il caffè. Ma ci tengo a dire che io non sono una barista. Sono addetta di sala”.

 

Siamo più fortunati dal macellaio Carlo, un omone con un codino birichino, bianco, che ogni fine settimana consegna a Draghi il “petto di pollo”. Si toglie finalmente un peso dallo stomaco “perché dovete sapere che il presidente, al contrario di un noto politico di centrosinistra, non scavalca la fila. Provi a chiederlo al panettiere”. Entriamo dal fornaio Francesco, un bergamasco alto, asciutto, con una catenina al collo, che sognava di aprire un chiosco a San Benedetto del Tronto e che “poi la vita ha portato a pochi metri dal presidente”. Lei lo ha visto? “Certo che l’ho visto. Guardi quella sedia. Questa è la sedia dove si accomoda”. Ci ha mai parlato? “Ah, no. Rimane in silenzio. Chiuso. Entra la moglie, acquista la focaccia, e lui attende. E però, vi devo dire che dopo la mancata elezione del Quirinale è come se avesse qualcosa. Credo che ci sperasse. Lo volesse. Se lo meritava. Forse adesso è solo tanto stanco. Può capitare, non trova? Anche Meloni, non la trova già stanca?”.

 

Parliamo per più di mezz’ora del fratello che era un birbante e che non aveva voglia di lavorare e di quando Draghi ha chiesto al direttore del supermercato, “sì, quello di fronte” di essere servito come tutti, nessuna cortesia, ma premette che “non ci spremerete nulla. Anzi, forse è meglio smetterla di cercarlo”. Prima di farlo, per simpatia, confida che abbiamo sbagliato bar e che quello del presidente è quello a cui “nessuno pensa”, il Bar “C…”, il bar del cinese Zhang. Andiamo per  ordinare un caffè dopo l’altro fino a quando risulta ovvio che per rimanere si deve passare ai sandwich. I tavoli sono di zinco per lavoratori che non hanno tempo da perdere e che sbranano la vita, quella che ora passa accanto a Draghi. Lo gestisce una cinese svelta nel prendere il denaro, le ordinazioni, un carattere che chiaramente piace all’ex presidente. Non appena sente la parola Draghi, guarda il cameriere e comincia a negare: “No, plesidente. Lei consumare. Consumare. E via, via”. Da una Punto grigia, parcheggiata, l’auto della scorta, due uomini, con gli occhiali scuri, scendono e si stirano le braccia, rivolgono il capo a destra e sinistra, poi rientrano. Tutta la vita di Draghi si riduce oggi a pochi metri. E’ possibile disegnare la piantina e si avrebbe come immagine una celletta. Guardiamo intorno cercando l’edicola. Come il bar è la più vicina, la sotterranea. E’ quella della metro, come conferma Marco, il proprietario, “sì, capita che il presidente scenda, vestito sempre in giacca”. E’ come se Draghi avesse avvisato tutti quanti che una parola su di lui, equivale al castigo internazionale. I suoi ristoranti non possono che essere due, ravvicinati, come il bar, che si può raggiungere oltrepassando la strada. Al primo, il cameriere Cristian, che è vestito interamente di nero come il cantante Mahmood, ricorda che poche settimane fa lo ha visto entrare, “ma non avevo capito che fosse il presidente. Aveva prenotato con il cognome della moglie. Ha ordinato uno spiedino di branzino. Era con la nipotina e la moglie, se non sbaglio pure la figlia. Mi creda, nient’altro. Voleva quasi scomparire”. Mai una fotografia. Nel secondo ristorante tutto quello che si riesce a sapere è che “a volte sì, la sera è venuto, ma la prego, il presidente è riservato. Si infastidirebbe tantissimo se solo sapesse che qualcuno si è spinto fino a sotto casa, qui, a Milano”. Proviamo con il barbiere Gianni che ha un piccolo salone, aperto da quarant’anni, e che prendeva il caffè con Enrico Cuccia, ma ci imbattiamo nel figlio. E’ stato il barbiere di un poeta, e lo apprendiamo sempre dal figlio, mentre si calza un paio di scarpe, perché “i capelli al presidente li taglia il babbo, io no, no. Papà, passa, ti cercano”.

 

Appare un pugliese con i capelli bianchi come quelli di Sergio Mattarella, vestito da duca. Quando gli chiediamo se sia lui il barbiere di Draghi, e che tipo di taglio, risponde che “potrebbe essere che sia io il barbiere che cercate”. Chiediamo “quante volte barba e capelli”, e lui, secco: “Barba mai, capelli, sì”. Spieghiamo che non cerchiamo segreti indicibili del presidente, ma solo immaginarlo, magari incontrarlo, sapere se vuole andare in Europa, e allora Gianni si apre, si sistema il cravattino, e racconta che un giorno un cliente coraggioso ha provato a rivolgergli delle domande: “Gli diceva, ‘presidente, ma lo sa che serve ancora lei? Deve tornare!’. A quel punto Draghi gli ha risposto: ‘Per carità, non sono matto. Tornare no’. Ma non chieda altro. Comprenda. Le posso solo aggiungere che io sono interista, lui romanista, ma questo lo sapete, e che quando ha visto quella foto, alla romana, mi ha detto: “Gianni, ahó? E quella foto dell’Inter? E io: ‘Presidente, che posso farci?”. Se permette, devo lasciare”. Torniamo, ancora, nella stessa strada, il giorno dopo, prima di ripartire con borsone, zaino in spalla. Ordiniamo l’ultimo caffè.

 

Dal portone di casa Draghi esce la moglie Serenella, con il cane. Si ferma accanto agli agenti, poi si dirige verso il parchetto. La avviciniamo. E lei: “Ma voi chi siete, qui che ci fate?”, “Come sapete che io sono…”, poi, da nonna, da mamma dira che … Ci saluta anticipandoci che non sarà liscia: “Se mio marito viene a sapere che ho parlato con lei si infuria”. L’uomo che poteva essere tutto oggi è un semplice cittadino. No,  non è la noia, che affliggeva Domenico Vannantò, nella tristissima Italia del 1937, ma ci si avvicina parecchio. Ricordate il racconto di Vitaliano Brancati? “La noia era grande. Non si poteva sfuggire alla brutalità, senza annoiarsi mortalmente. La vita dell’uomo onesto e, naturalmente, appartato e solitario, mandava di notte e di giorno il sottile stridìo di un vecchio legno intarlato”. Non abbiamo trovato Draghi ma la vera presidente di casa Draghi, la donna che potrebbe davvero conquistare la Commissione europea, che non teme di dire quello che il suo Mario non è mai riuscito a dire: “Sì, sì, il Quirinale”. Il marito sarà ricordato per l’euro, il governo, e forse un giorno per aver guidato l’Europa. E’ di Draghi la frase “whatever it takes”, ma è della moglie Serenella la più politica, quella che spezza la noia e che fa saltellare un cane: “Non tema. Si avvicini, si faccia guardare”.
 

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio