(foto Ansa)

nel carroccio

Perché per Salvini il vero fronte è la Lombardia: “Si sente blindato, ma non durerà”

Luca Roberto

"Non faremo la fine del Veneto", dicono i leghisti dissidenti lombardi, che criticano l'espulsione dell'europarlamentare Da Re. Grimoldi: "Nel privato molti big dicono di non fidarsi più del segretario". Il piano per ottenere il congresso

Non faremo la fine del Veneto”. Sono convinti di essere la ridotta del leghismo vecchia scuola, l’ultima resistenza a Salvini. Così in Lombardia ora, per provarlo, vogliono arrivare fino in Via Bellerio, la storica sede del Carroccio, per chiedere la cacciata del segretario. O quanto meno per reclamare che si tenga il congresso regionale, congelato da anni. “Mi pare che pure in Corea del nord abbiano votato. Sono più democratici di noi”, dice Paolo Grimoldi, vicinissimo a Bossi e coordinatore dei dissidenti del Comitato nord. E anche se il vicepremier s’è blindato per tempo, infarcendo governo e Parlamento di fedelissimi ed espellendo pure, ieri, l’europarlamentare veneto Da Re, a queste latitudini nella spallata ci credono.

 

Ieri in Veneto c’è stato un primo redde rationem nella Liga, con l'espulsione dell’europarlamentare Gianantonio Da Re, reo di aver dato del “cretino” a Salvini. Il Capitano, attraverso il segretario della Liga Alberto Stefani, è come se avesse voluto mandare un avvertimento anche alla sua Lombardia. Cioè la regione che più di tutte cova un’insofferenza verso il corso attuale portato avanti dal segretario. E che con maggiore evidenza simboleggia lo scollamento tra la Lega nazionale, sempre più romanocentrica, e il vecchio partito sindacato dei territori.  E’ anche per questo che in regione il Capitano, per ora, ha dato carta bianca al deputato Fabrizio Cecchetti, commissario della Lega lombarda dalla primavera del 2021. Il congresso regionale non è all’ordine del giorno, non si sa se e quando si terrà. E la ragione è presto detta: nella sfilza di congressi provinciali tenutisi nel 2022, quando il consenso era ben più ampio, Salvini ha rischiato di perdere il controllo del partito lombardo. A Brescia e Bergamo hanno vinto due personalità molto distanti dal segretario, Roberta Sisti e Fabrizio Sala. Ma anche a Varese, provincia del plenipotenziario Giorgetti, il salviniano Andrea Cassani ha rischiato molto prevalendo con un scarto di soli 12 voti. Si capisce allora, anche in concomitanza di batoste elettorali come quella sarda, il perché della tattica dilatoria adottata.

 

Solo che la novità è che un paio di giorni fa alcuni militanti hanno manifestato tutto il loro malcontento esponendo uno striscione di protesta non in un luogo qualsiasi, ma sul pratone sacro della Lega a Pontida, sopra al muro con la scritta “Padroni a casa nostra”. Vi si leggeva “Da indipendenza a sudditanza, i militanti ne hanno abbastanza”, e chiedeva proprio la chiamata del congresso. Nella lettera che è stata pubblicata per rivendicare il gesto, si annunciava per l’appunto una mobilitazione di fronte alla sede storica del partito per dire “basta alle vessazioni” della segreteria Salvini. Un’ipotesi che, spiegano in ambienti leghisti, potrebbe essere rilanciata da un’eventuale grossa delusione abruzzese. Come spiega al Foglio Paolo Grimoldi, che è stato l’ultimo vero segretario della Lega lombarda prima che iniziasse la stagione dei commissari, “prendiamo il 3 per cento in Sardegna. In Europa ci alleiamo con gli eredi dei neonazisti. E poi il problema è Toni Da Re da Treviso. Ma lo capite che il partito è allo sbando?”.

 

Salvini però in Lombardia sembra aver adottato la strategia che lo ha reso inscalfibile a livello nazionale: si circonda solo di persone fidate. E se non ha la garanzia che queste persone possano controllare il partito, meglio prendere tempo. Il caso veneto insegna: un anno fa i malumori della base venetista vennero risucchiati dalla vittoria di Stefani, favorita anche dal passo indietro di Roberto Marcato, il più combattivo dei critici di Salvini. Forse vere leadership alternative al vicepremier non ce ne sono e mai riuscirebbero a disarcionarlo? “E invece ce ne sono tante, non solo Zaia e Fedriga, ma anche altri”, ragiona ancora Grimoldi. “Salvini è blindato nella Lega-Salvini premier, che però non si capisce che obiettivo abbia. Davvero giustifica la sua esistenza pensando di poter  fare il primo ministro? Ecco perché la sua è una sicurezza tutta rivolta al passato. Per adesso pubblicamente lo dicono in pochi, ma in privato anche i big sostengono che con Salvini la Lega non abbia più un futuro. E’ solo questione di tempo”. Chissà che davvero per il segretario, che nel frattempo gira l’Abruzzo cercando di allontanare gli spettri di un collasso elettorale, i problemi non possano germogliare nel giardino di casa, dalla sua Milano e dalla sua Lombardia. E poi esplodere dopo le europee. Quando potrebbe apparire sempre più chiaro ai più che “con questo segretario la Lega muore”.

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  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.