Il caso

Salvini, Capitano errante in Abruzzo: se la Lega tracolla Marsilio rischia

Simone Canettieri

In quella che era la Pontida del centro sud tutto è cambiato in 5 anni. L'ex coordinatore abruzzese del Carroccio: "E' finito un ciclo". Domenica il voto, le paure di Fratelli d'Italia

 Scomparso alla fine del comizio, al momento dell’inno di Mameli con Giorgia Meloni e gli altri leader sul palco a interrogarsi dove si fosse cacciato, Matteo Salvini ricomparirà in Abruzzo oggi e domani. Questa mattina è atteso al teatro comunale di Orsogna, in provincia di Chieti, per un incontro pubblico. Venerdì concluderà quindi la campagna con il suo partito al Pala Becci di Pescara, dove celebrerà la festa della Lega. Per Salvini le regionali di domenica sono un crocevia: qui nacque il progetto del partito nazionale con un boom di voti impressionante.

Alle europee del 2019 il Carroccio sfondò il muro del 35 per cento, poco prima alle regionali toccò quota 25,9. E con un record mai  eguagliato nella storia del partito fondato da Bossi: nel comune di Gamberale (Chieti) la Lega arrivò al 63,3. Da qui i titoli dei giornali locali di allora: “E’ l’Abruzzo la Pontida del centro sud”. Terra di espansione, luoghi fatali del salvinismo. La famosa richiesta di “pieni poteri”, per dire, venne pronunciata dal ministro dell’Interno non al Papeete, ma l’8 agosto del 2019 a Pescara. Che tempi. “Quel ciclo è finito”, dice Giuseppe Bellachioma, fondatore della Lega in questa regione, uscito poi dal partito.  


L’ex deputato ha ancora in testa quegli anni ruggenti: “Qualsiasi cosa toccasse Matteo riusciva a trasformarla in consensi. Al comizio di Pescara, forse l’inizio della fase calante del partito, del 2019 c’erano diecimila persone solo per lui”. Dopo cinque anni è cambiato tutto. Bellachioma è uscito dalla Lega, anche se in questa campagna elettorale dà una mano al governatore Marsilio.

Salvini ha perso più della metà dei consiglieri regionali (passati da 10 a 4) e dimezzato gli assessori (da 4 a 2), più un’eurodeputata e una pioggia di amministratori locali, sindaci e consiglieri comunali. Tutti traslocati in Fratelli d’Italia o in Forza Italia. Non è un caso infatti che l’altro giorno a Pescara ci fossero più bandiere dell’Ucraina che della Lega. “Credo che vincerà il centrodestra e che il mio ex partito alla fine non andrà malissimo. Però attenzione: se ci dovesse essere un calo vertiginoso dei consensi per Salvini, la situazione potrebbe travolgere tutto il centrodestra. Personalmente, lo ripeto, sono fiducioso”. La versione di Salvini pastore errante in giro per l’Abruzzo per cercare di salvare il salvabile è una spia accesa anche nei radar di Fratelli d’Italia. In Via della Scrofa circola un numeretto: se la Lega va sotto il 7 per cento la questione si può mettere male anche per Marsilio, il candidato della real casa meloniana. L’effetto travaso dalla Lega a FdI, sempre secondo i dirigenti locali del partito della premier, potrebbe non bastare. Ma è uno scenario molto complicato da realizzarsi che viene citato più che altro per esorcizzare la grande paura. Di sicuro Salvini si gioca una doppia partita: personale e di coalizione. Nella migliore delle ipotesi deve sopravvivere, attestarsi sulla media delle ultime politiche (8 per cento) senza farsi doppiare da Forza Italia, che veleggia verso la doppia cifra. Nella peggiore delle ipotesi, quella del tracollo, allora si aprirebbe uno scenario ancora più imprevedibile perché passerebbe più che altro il messaggio di una seconda sconfitta clamorosa di Meloni, e per giunta nel territorio che l’ha eletta nel 2022. Calcoli e uccelli del malaugurio che vengono tenuti a debita distanza in questo scampolo di campagna elettorale, almeno in pubblico. Ma se ne parla, eccome. 


Meloni, più di Salvini, non può sbagliare. E rispetto a Cagliari ha avuto un diverso approccio sul palco del comizio di ieri l’altro. “In Abruzzo il vento può cambiare in una manciata di giorni: basta un passaparola, se la gente capisce che il centrodestra è forte alla fine si sposta in massa. Ma può accadere anche viceversa”, dice ancora Bellachioma, uno che ha bene in mente quella fase storica in cui Salvini si fermava alla fine dei comizi a fare selfie con i militanti anche per due ore, con incredibili file chilometriche di supporter in visibilio. Altri tempi, tutto scorre. Adesso il consenso è altrove e Meloni non ha intenzione di prestare il fianco a chi le dice che forse, dopo un anno e mezzo, inizia a perdere il tocco magico. Si spiega anche in questo modo, per certi versi, l’attenzione riservata dalla premier ai sindacati degli agenti di polizia, ricevuti ieri mattina a Palazzo Chigi. Un’iniziativa molto pubblicizzata anche sui canali social. Un attestato di solidarietà e vicinanza che arriva dopo i fatti delle manganellate di Pisa, stigmatizzate dal Quirinale e ridimensionate dalla presidente del Consiglio con annesse letture di contrapposizioni con il presidente Sergio Mattarella.  All’incontro di ieri Meloni ha detto però una frase importante che forse si porterà dietro anche dei fatti: “C’è un clima che non mi piace e mi preoccupa nell’anno del G7: vedo toni che mi ricordano anni molto difficili per la nostra nazione”. Si valuta dunque l’applicazione del Daspo per i violenti nelle manifestazioni, l’arresto differito per chi causa lesioni a un agente, bodycam per chiunque sia impegnato nel servizio di ordine pubblico. Tutti punti che potrebbero essere inseriti nei disegni di legge del pacchetto sicurezza approvato a novembre e che presto inizieranno l’iter parlamentare. Sono in arrivo emendamenti ad hoc della maggioranza. La leader della destra italiana vuole così porgere ancora di più la mano a quel mondo che, dice, “è sottoposto a un’ingiusta campagna di denigrazione”. E’ “l’agente Giorgia” che si appropria sempre di più di un elettorato che una volta era dell’ex capo del Viminale Salvini? Certo, che sì. E anche questo è un segno dei tempi, di come cambino velocemente le cose nella destra. In attesa del voto di domenica in Abruzzo.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.