Il caso

Meloni in Abruzzo con l'incubo Sardegna: prima del palco con gli alleati incontra da sola le imprese

Simone Canettieri

Cambio di strategia dopo la sconfitta sarda: la premier vede prima le aziende a Teramo, poi il comizio a Pescara con Tajani e Salvini. Nervosismo dentro Fratelli d'Italia. Preoccupa la Lega in picchiata  

Voce da Fratelli d’Italia: “E’ il format a tre che è da rivedere”. La foto? “Sì. Perché Giorgia deve continuare a salire su un palco con Tajani e Salvini per dissimulare un amore che non c’è? In Sardegna non ha portato bene”. E così si cambia. Due ore prima di salire sul palco di Pescara con gli alleati (appuntamento previsto intorno alle 18), la premier incontra gli imprenditori di Teramo alla Camera di Commercio. Oplà: si è smarcata.  


Nella drammatizzazione della politica italiana la sfida fra Marsilio (figlio di Colle Oppio e quindi prodotto della casa) e D’Amico (il rettore del campo così largo da essere XXL) è accompagnata da un’attesa messianica. Nel Pd “gli amici di Elly”, circolo ristrettissimo frequentato da Schlein, nessuno si fa illusioni: “Servirebbe un altro miracolo dopo la Sardegna, e poi questa volta non c’è il voto disgiunto”. Dentro Fratelli d’Italia per scaramanzia continuano a dire che “il centrosinistra ci sta col fiato sul collo”. In un partito che vive molto degli umori della “capa” il clima che ne discende, ad ascoltare gli sfoghi, è abbastanza elettrico. Tutti nervosi: Lollobrigida, che si trova in Giappone ma che giovedì sarà in Abruzzo, Arianna Meloni, la sorella d’Italia che ha anche la grana del congresso di Roma, e Giovanni Donzelli, il numero tre a cui qualcuno ha gettato anche qualche schizzetto di fango per la sconfitta di Paolo Truzzu due settimane fa. 


A guardare i numeri politici delle due regioni però la storia è molto diversa. Alle politiche del 2022, alla Camera, in Sardegna (a guida Solinas) il centrodestra unito si fermò al 40,4 per cento, mentre la coalizione del Pd e il M5s (che corsero divisi) sommati arrivarono al 49. Discorso opposto in Abruzzo, già governato da Il lungo Marsilio, dove il centrodestra toccò il 47 per cento con il cartello dem piantato al 21,9 e i grillini al 18,5. Territori diversi, insomma. Non solo. In Abruzzo Fratelli d’Italia prese quasi due punti sopra la media nazionale, a L’Aquila si candidò nel collegio uninominale Meloni e sempre il capoluogo di questa regione vanta uno dei più importanti sindaci di FdI, Pierluigi Biondi che è anche responsabile enti locali del partito, in asse con il collega governatore Marsilio. Tutti questi elementi messi insieme dovrebbero tranquillizzare Palazzo Chigi. Di converso, una sconfitta assumerebbe contorni ben più clamorosi di quella sarda, al di là del filotto negativo.


E però la vulgata che forse serve a esorcizzare il timore dalle parti di Meloni suona così: nessuna distrazione, siamo avanti di pochissimo, due punti al massimo, ma chissà. Il dispiegamento di forze governative continua a essere straordinario: ministri e sottosegretari che spuntano ovunque, tra mare e montagna: da Chieti a Teramo, passando per L’Aquila e Pescara dove questa sera è previsto – alle 18 – il comizio dei leader (preceduto dall’incontro a porte chiuse della premier con gli imprenditori della zona). Un’attenzione quasi morbosa, e per nulla dissimulata, che segnala strani scricchiolii. Ma sono reali o è autosuggestione? Matteo Salvini, il lunedì dopo il bagno sardo già era in Abruzzo a srotolare cartine di ponti, strade e ferrovie (così come lunedì prossimo ha già fissato a Torino una riunione sulla Tav: fra poco ci saranno le regionali anche in Piemonte). Con un pilota automatico che la dice lunga sui rapporti interni da Fratelli d’Italia fanno notare che il capo della Lega ha cercato di ridurre al minimo durante le visite di questi giorni gli incontri pubblici con il governatore che punta a succedere a se stesso. Non corrono ottimi rapporti. L’assessore regionale alla Sanità Nicoletta Verì (4.934 preferenze nel 2019) lo scorso gennaio ha lasciato il Carroccio (così come il collega all’Ambiente Nicola Campitelli) e si ricandiderà con la lista di Marsilio-presidente.

Anche in Consiglio regionale il gruppo salviniano ha perso pezzi e si è dimezzato. Il partito è commissariato dal sottosegretario Luigi D’Eramo. E l’ex coordinatore Giuseppe Bellachioma – pirotecnico imprenditore nel campo delle pompe funebri nonché pioniere della Lega da queste parti – da tempo ha lasciato il partito pur continuando a orbitare nel centrodestra. Vado verso la vita, cioè Meloni, deve averlo esclamato dannunzianamente anche l’europarlamentare Elisabetta De Blasis che lo scorso 8 settembre ha preferito passare dalla Lega a FdI. Così le elezioni di domenica rischiano di essere – al netto di un risultato clamoroso – una resa dei conti interna. Con Salvini che rischia di essere doppiato da Forza Italia. Secondo i calcoli che girano dentro il partito di Tajani la doppia cifra appare più che scontata. Tuttavia Meloni non può sbagliare. E soprattutto dopo l’ultimo non fortunatissimo comizio di Cagliari chissà se cambierà stile: via faccine e farsetto in romanesco, ecco un tono istituzionale secco e asciutto. Magari con qualche “accenno cruschevole” e per nulla verboso come consigliava il Vate ai politici. 
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.