Lo Stallo

Salvini chiede il conto a Zaia sul terzo mandato: "Candidati". Franceschini: "E' finito". Pd in panne

Carmelo Caruso

Il Senato boccia l'emendamento a firma Lega. Lite Balboni-Romeo. La mossa di Salvini per avere il governatore veneto alle europee. I sindaci del Pd contro Schlein

Salvini ha la sua Giarabub, la gloriosa disfatta, la sconfitta per l’idea.  L’emendamento della Lega sul terzo mandato viene bocciato al Senato. Meloni e Tajani gli votano contro, Pd e M5s  anche. Il governo che durerà cinque anni, come ripetono Meloni e Salvini, parla così. Pochi minuti prima che la commissione Affari costituzionali decida, il presidente Balboni di FdI, fuori dall’Aula, chiede al capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo: “Ma sul serio non lo ritirate? Ritiratelo. State sbagliando”. Romeo, di fronte ai commessi, gli risponde: “Ci dovete mandare sotto. Ci dovete massacrare. Massacrare! Non ci siete solo voi. Non lo ritirerò mai. Hai capito? Mai. E’ una battaglia identitaria”. Continueremo. Basta!”. La chiamano armonia.


Per Salvini è arrivata dunque la “bella morte” parlamentare, la sceneggiata “io per  Zaia darei la vita”. Meloni quando ha capito che la Lega avrebbe fatto sul serio, che non avrebbe ritirato l’emendamento sul terzo mandato dei governatori, ha spedito, al Senato, il ministro Ciriani e Wanda Ferro, la viceministra dell’ Interno, i più gradevoli di tutta la sua comunità. Si è votato perché non è vero che la notte porta consiglio a eccezione del Pd, il partito dei digiunatori. In direzione si era stabilito che non si era stabilito nulla, che i senatori sarebbero forse usciti dall’Aula, modello Orban in Europa, ma con Conte non funziona. Il Pd sposa  la linea contro il terzo mandato. Per unirsi ai 5s si spaccano con De Luca, Decaro, Bonaccini, che sarebbero Pd, ma corrente caciucco. Salvini, che è in Sardegna tra mirto e culurgiones, ci tiene a far sapere, collegato con la Rai (che aveva maltrattato durante il comizio di Cagliari) che “vota il Parlamento”, che la Lega “non ritira”. Si crede Salvemini. Lo sa pure lui che verrà bocciato ma il desiderio di morire romanticamente lo avviluppa.

La Commissione si colora di blu, rosso, giallo (FdI, Forza Italia, Pd, M5s, Azione) un’alleanza cirenaica: ci sono più tribù della Libia. I voti contro il terzo mandato sono sedici, quattro i favorevoli (Lega e Italia viva) un astenuto. Maurizio Gasparri, che resta sempre quello che dice ciò che gli altri non possono dire, continuava a ripetere al Foglio che “del terzo mandato agli italiani non gli frega un c/zzo”. Pier Ferdinando Casini, che consiglia di volare alto, e che a pranzo mangia solo banane, tutte le volte che gli domandano di Salvini e Meloni risponde citando Nenni: “Non voglio dare consigli ai giovani perché se sbagliano è pure colpa nostra”. E allora perché questa conta, questa roulette? Può una maggioranza, un collega di partito, chiedere all’altro, come Romeo con Balboni, “massacrateci?”. Venerdì scorso, il governatore De Luca urlava: “Ci dovete uccidere”. Romeo: “Massacrateci”.

Solo Walter Verini, senatore del Pd, parla ancora in latino per cantare “multa renascentur quae iam cecidere cadentque” (“molte cose già cadute risorgeranno”). Rinascerà, verrà ripresentato anche questo emendamento che è pure dentro il Pd provoca straniamenti. Il pugliese D’Attis, deputato di FI, di passaggio al Senato, pure lui in attesa del voto, racconta, ad esempio, che, in Puglia, “Decaro è sì per il terzo mandato dei sindaci ma contrario a quello dei governatori perché servirebbe a Emiliano”. A ciascuno il suo terzo, che poi, dirà Ciriani, “l’emendamento della Lega in realtà prevedeva cinque mandati”. Andrea Martella, il segretario del Pd in Veneto, un senatore con cui viene voglia di conversare riguardo ai Notturni di Chopin, spiega che “la Lega ci riproverà in Aula, presto, ancora”. L’altro senatore veneto, del Pd, Andrea Crisanti  ha dimenticato  la cravatta e se la ride. Dicono che voglia candidarsi per il dopo Zaia, che davvero dovrebbe dire a Salvini: “Giù le mani dal mio cognome”, anche perché Zaia scrive libri, che vendono, ha una vita piena e potrebbe  fare il sindaco di Venezia. E’ passata l’opinione che questo emendamento sia la legge Zaia, come una volta  i lodi di Berlusconi ed era quello che Salvini desiderava. Dopo la sua Giarabub si premura a dire: “Non ci sono rischi della maggioranza. Ogni tanto le proposte della Lega passano altre volte vengono bocciate. Capita”. A Venezia sono convinti che questo voto servisse a Salvini  per chiedere nuovamente a Zaia di candidarsi alle europee. E’  come in guerra.  I comandanti che non vogliono morire afferrano il soldato più coraggioso e gli dicono: “Vai! Alla sola tua vista indietreggeranno. Dimostra chi sei”. Gli fanno bere la fiaschetta e poi pum-pum-pum. Solo che Zaia beve poco, il mojito non gli piace. Dario Franceschini, il principe erede del Quirinale, dice che “un altro Papeete non ci sarà”, che questa volta neppure lui, il genio, può inventarsi un governo, perché “Salvini non rompe. La sua è solo schiuma. E’ finito”.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio