Giorgia Meloni - foto Ansa

L'editoriale dell'elefantino

I fascisti? Su Marte. Una Meloni mainstream. Il Nyt regala delusioni ai liberal italiani 

Giuliano Ferrara

La premier & co? Più mainstream che populisti. Dopo l’Economist, pure il Nyt  smentisce la retorica liberal italiana

Dopo l’Economist, che alla luce dei fatti ha definito “esagerati” i timori dei liberal italiani per il governo di centrodestra guidato da Meloni in questo ultimo anno e mezzo, ecco la nota politica impeccabile del New York Times, a firma di Jason Horowitz, capo dell’ufficio romano. Detto in poche righe, che basteranno ai lettori del Foglio abituati alle nostre incursioni malignette nel mondo meloniano ma anche a commenti fair o semplicemente realistici e controtendenza di questi mesi, il Nyt scrive quel che nell’establishment italiano di centrosinistra si sa ma non si dice: il governo italiano è stabile, non si fonda su un’ideologia antieuropeista, al contrario la sua leader media con efficacia il rapporto politico e istituzionale di Bruxelles con le tendenze ostili di una generale opinione euroscettica delle destre populiste (Orbán, i polacchi ora all’opposizione, la destra lepenista in via di riallineamento parziale, altri movimenti sparsi che hanno subito sconfitte elettorali per loro istruttive sia pure in un quadro di spostamento a destra dell’asse politico europeo).

Ucraina, Nato, mercati globalizzati, piano di investimenti post pandemico, immigrazione: Meloni tiene una linea di collaborazione con i grandi stati guida europei e con la governance continentale, si muove su una linea opposta alla retorica del suo partito nell’epoca dell’opposizione più o meno di sistema, non rinuncia a distinzioni e controbatte cultura gender e giustizialismo, mette in campo una competizione sorvegliata con l’ortodossia liberal cercando un suo spazio centrale nella Ue, attua lo spoils system nell’informazione pubblica e nella cultura, non evita inciampi errori gaffe e manovre borderline in ogni campo, promuove mutamenti costituzionali e autonomie come riforme di sistema dentro il sistema e la sua parabola repubblicana di questi decenni, magari pasticciate e controverse.

Ma spacciarla per un aspirante dittatore o per un leader populista che non ha incamerato le molte lezioni e repliche della storia recente è precisamente l’errore che riduce la capacità di manovra e l’autorevolezza popolare dell’opposizione di centrosinistra. I liberal e i progressisti grillini smentiti dai liberal e progressisti di Londra e New York sono una notizia. Che non si sia letta una nota politica simile sui giornali nazionali italiani è una notizia. Non fanno notizia il pregiudizio, una vena di faziosità e propagandismo, una preoccupante mancanza di realismo e di sottigliezza da parte del Pd di Schlein, delle truppe di Conte, della sinistra radicale cosiddetta, così come non sorprendono i tributi più o meno folcloristici a uno sfondo ideologico e culturale della vecchia destra missina e postfascista. Però trattare Meloni come fu giustamente trattato il governo finito con la tragicommedia del Papeete e dei pieni poteri è un’evidente sciocchezza. Se c’era un piano per l’isolamento dell’Italia in Europa, coltivato subito dopo il voto di settembre del 2022, questo piano Meloni lo ha corroso scavandogli il terreno sotto i piedi con ordinaria sapienza e capacità di manovra, professionismo puro.

Questo non significa che non si debba vigilare, come si diceva una volta, o tenere alta la guardia. Ma per una volta, dopo aver sbagliato in modo grottesco riguardo a Berlusconi e al suo ciclo psico-politico, uniformandosi al senso comune nel segno del conflitto di interessi, la stampa dell’establishment internazionale che conta ha dato segno di un ravvedimento operoso, e invece di inseguire il colore antifascista ha registrato il carattere tutto e solo politico dell’esperienza meloniana, combinato con la calibratura dei toni di Palazzo Chigi una volta espugnato il potere di governo con una maggioranza solida. Si dirà che anche Churchill ammirava Mussolini prima di costruire la strategia per distruggere lui e l’alleato Hitler, ma a parte tutto il resto Churchill non era un liberal, primo, e poi i mussoliniani nell’anno e mezzo successivo alla marcia su Roma e alla nomina del Duce come presidente del Consiglio avevano preparato il delitto Matteotti e le leggi liberticide, cose diverse dal pistolino di Capodanno dell’onorevole Pozzolo, da qualche raffica di innocue fesserie, da un giro di nomine che riequilibra l’andazzo precedente secondo i canoni tradizionali dell’Italia democratica dei partiti. Sperabile che i capi del centrosinistra leggano, e non solo il mattinale di Fazzolari, la solita velina, per riprendere, meglio tardi che mai, a cercare di fare politica. 
       

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.