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A Roma

L'Antitrust boccia l'Atac e obbliga Gualtieri a bandire una gara (grazie al Pnrr)

Sergio Boccadutri e Carlo Stagnaro

Fallisce il tentativo di Roma Capitale di rinnovare l'affidamento all'azienda del trasporto pubblico: la riforma approvata da Draghi e confermata da Meloni cambia le carte in tavola. La via d'uscita è una graduale apertura alla concorrenza

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha bocciato l’affidamento diretto ad Atac del servizio di trasporto pubblico locale per Roma Capitale. L’Antitrust impugnerà, quindi, di fronte al Tar la delibera con cui il sindaco Roberto Gualtieri rinnova il contratto di servizio per il periodo 2024-2027, giudicando gli argomenti impiegati per giustificare tale scelta “carenti, non documentate e contraddittorie”. Si tratta del primo effetto della riforma dei servizi pubblici locali adottata, nell’ambito del Pnrr, dal governo guidato da Mario Draghi e confermata dal governo di Giorgia Meloni. E costituisce un precedente potenzialmente rivoluzionario, perché mette in discussione l’intera organizzazione dei servizi pubblici locali nella maggioranza dei comuni italiani.

In teoria, la fornitura di tali servizi dovrebbe essere affidata tramite procedure a evidenza pubblica. Tuttavia, è sempre stata lasciata – coerentemente con la normativa europea – la possibilità di affidamenti in house, purché questi siano giustificati da adeguate evidenze. Finora tale obbligo era stato interpretato come un mero adempimento formale, tanto che spesso le relative relazioni neppure venivano depositate o venivano copia-incollate da altre. La riforma del 2022 cambia le carte in tavola, prevedendo sia l’obbligo di depositarle in anticipo sia, soprattutto, di fornire una dettagliata analisi economico-finanziaria basata anche sui precedenti risultati di gestione

In sintesi, il Campidoglio ha spiegato l’affidamento in house argomentando che esso avrebbe consentito un più facile coordinamento con le politiche del comune, che Atac avrebbe migliorato la sua performance anche grazie ai nuovi investimenti previsti e che, a ogni modo, il servizio sarebbe stato fornito a costi competitivi. L’Authority presieduta da Roberto Rustichelli ha ribattuto punto su punto, non solo rilevando la carenza delle informazioni fornite o il fatto che si tratta di “mere dichiarazioni d’intenti”, ma anche sottolineando la drammatica qualità del servizio offerto da Atac. In altre parole: se negli ultimi anni Atac ha garantito un servizio scadente, giudicato insufficiente dai cittadini e caratterizzato da costi superiori alla media, come può essere credibile una relazione secondo cui, improvvisamente, l’azienda del trasporto pubblico capitolino diventerà un orologio svizzero? 

L’Autorità si spinge oltre e suggerisce una via d’uscita non traumatica, che non prevede l’immediata messa in liquidazione di Atac. La proposta è di “una iniziale e quantomeno graduale apertura alla concorrenza del mercato del trasporto pubblico locale non periferico, per esempio attraverso una divisione in lotti opportunamente individuati e costituiti da sub-aree del territorio cittadino, nell’ambito di un piano programmatico che ne preveda la progressiva messa a gara”. Vedremo quali saranno gli sviluppi successivi, che certamente dipenderanno anche dagli orientamenti della giustizia amministrativa. Nel passato, i Tar avevano tendenzialmente accolto le posizioni dei comuni, ma adesso lo scenario è cambiato. Ed è qui che si apre il punto politico più interessante.

La riforma non può essere messa in discussione, perché è parte integrante del Pnrr e ha concorso all’approvazione della terza rata (relativa al secondo semestre 2022). Non è quindi pensabile una sua revisione per allargarne le maglie. Inoltre, è stata condivisa da tutte le forze politiche, che l’hanno sostenuta prima nella maggioranza del governo Draghi (Pd, Forza Italia, Lega, M5s, Italia viva, Azione, +Europa) e poi col governo Meloni (Fratelli d’Italia, Lega, FI). L’intero arco parlamentare si trova quindi spiazzato rispetto a un cambiamento forse più profondo di quello che ci si attendeva, e che mette in mora la difesa tetragona e bipartisan del socialismo municipale. Persino in Italia le riforme possono funzionare e questo va a merito di chi quelle norme le aveva elaborate, tra l’altro di fronte a un diffuso scetticismo sui loro effetti. Se l’impianto reggerà e se l’Antitrust continuerà a usare lo stesso rigore, questo potrebbe essere davvero un lascito duraturo del Pnrr.  
 

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