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l'intervista

Adriano Monti Buzzetti: “Amo Borges e Battiato. Mi attaccano perché sono fuori dal perimetro del gauchismo”

Gabriele De Campis

Il neopresidente del Centro per il libro e la lettura: “Ho studiato dai gesuiti e alla Luiss. Mi mettono il fez ma non sono mai stato iscritto a partiti. Sinibaldi? La sua reazione mi ha spiazzato. La priorità è far leggere di più nel Mezzogiorno. Ho nostalgia del clima plurale delle riviste come Linus di OdB”

I miei libri più cari? Ce ne sono tanti. Dalla Recherche di Proust, alla Vita Nova di Dante e all’Aleph di Borges. Il fantasy lasciamolo perdere…”. Sorride Adriano Monti Buzzetti, nuovo presidente del Cepell, acronimo che sta per Centro per il libro e la lettura, istituto collegato al Ministero della Cultura. Dopo il cannoneggiamento ricevuto negli ultimi giorni dalla “sinistra in abiti editoriali”, Monti Buzzetti col Foglio inizialmente si schermisce: “Sono un giornalista, responsabile della Cultura in un tg nazionale. Il mio incarico, gratuito, è di rappresentanza e si affianca alla figura operativa del direttore, Luciano Lanna.  Non mi sono mai né proposto né candidato per nulla. Il ministro mi ha chiesto la disponibilità ed eccomi qui”.

Arriva al posto di Marino Sinibaldi: “La sua riconferma non era mica connessa a un diritto dinastico. Non c’è stato alcun licenziamento. Dei cinque miei predecessori solo uno ha fatto un doppio mandato, Romano Montroni. Nemmeno il primo presidente, Gian Arturo Ferrari, un monolite della nostra editoria. Ed è una figura a cui nemmeno oso accostarmi”. Lei è il protagonista secondo alcune ricostruzioni di una “occupazione famelica”. “Sono stato descritto come un nerd appassionato di fantasy, come se un lettore di Tolkien non potesse anche leggere Verga, Pasolini o Marcuse feticcio della contestazione o Popper… E’ stato sottaciuto l’impegno nella mia testata il Tg2, che ha rubriche storiche sui libri, come Mizar o Achab. Negli ultimi due anni non so quale altro Tg ha messo in campo anniversari letterari legati a Céline, Dostoevskij, Simenon, Poe. O all’editore visionario Franco Maria Ricci. Tutti focus curati da me”.

 

Quando c’era Dario Franceschini ministro, le nomine si facevano lo stesso, senza titoloni. “Si sono evocate solo adesso investiture fatte per 'prossimità' e 'angustia culturale'. La vera afflizione è l’operazione grottesca di gridare allo sconosciuto e mettere fez in testa a tutto quello che si muove fuori dal perimetro del gauchismo di stretta osservanza. La realtà del pensiero culturale è molto più ampia e non sempre così conflittuale. Le pluralità delle voci, come diceva Franco Battiato, sono 'segnali di vita”' Purtroppo il 'riduzionismo' in merito al mio percorso umano mi è parso scorretto e un po’ volgare”. Egemonia e Centro per il libro: c’è il rischio di alimentare un ossimoro. “L’istituto non si occupa di indirizzi sui contenuti, ma è una piattaforma finanziaria e creativa  di supporto alla filiera del libro. Senza visioni di parte. Lavoriamo alla interconnessione tra tutti gli addetti ai lavori del mondo del leggere”. E mentre infuriano le invettive, Monti Buzzetti ha già incontrato i vertici dell’Associazione italiana editori: “Il presidente Innocenzo Cipolletta ci ha confermato fiducia e stima. Lavoriamo per una agenda di appuntamenti, ci aspetta una primavera impegnativa con fiere e eventi di respiro internazionale: oltre al Salone di Torino, saremo ospiti come Italia nelle vetrine di Francoforte, Tunisi e Varsavia, quest’ultimo uno dei principali mercati del libro italiano”. Le sue priorità? “Una rinnovata attenzione al Sud, dato che esiste e persiste una invisibile linea gotica da superare per portare i dati di fruizione del libro in linea con il resto del Paese”.

 

Si è formato nella Contea tolkieniana? “Ho studiato a Roma, al Massimo dai gesuiti, poi alla Luiss in una classe fortunata con Giovanni Floris e Giovanni Orsina… I miei genitori non erano politicizzati: padre ingegnere, madre dirigente statale. Mai fatto politica, anche per il ruolo di giornalista Rai. Sono stato un simpatizzante monarchico, allevato da una nonna fervorosa sull’argomento”. Non si spiega l’ostilità di Sinibaldi. “Non ci siamo mai incontrati. Io mi sento come il Candido di Voltaire. La sua reazione mi ha spiazzato. Contavo di sviluppare un rapporto con il mio predecessore, ma mi rendo conto di aver messo le dita in una presa elettrica”. C’è stata una stagione nella quale sulle colonne di “Linus” Oreste Del Buono poteva ospitare intellettuali di destra come Gianfranco de Turris, senza suscitare reazioni di sorta: “Il fumetto è la mia grande passione. Mio padre leggeva Linus. Apprezzavo Del Buono, un grande eclettico, senza pregiudizi: curava opere di Guareschi e aveva intuito il talento Andrea Pazienza, il Caravaggio del pennarello. Ho sognato con Hugo Pratt, un grande irregolare. Di quella Italia del dialogo e di quelle riviste-laboratorio - con anime diverse che si ritrovavano in una feconda coabitazione - si sente nostalgia”.

E’ stato tra i curatori della mostra romana sull’autore del “Signore degli anelli”: “Tolkien è stato 'il filosofo del fantastico', ha dato una dignità strutturale all’arte di immaginare mondi diversi da quello in cui viviamo. Non è onanismo della mente ma una forma alta di declinazione di quella capacità che, per uno scrittore cattolico come l’accademico oxfordiano, derivava dal divino”. La prima uscita pubblica? “Sarò a Torino e Francoforte”.

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