(foto Ansa)

Il caso

In Veneto naufraga la linea Zaia: il centrodestra si spacca e affossa la legge sul fine vita

Francesco Gottardi

Consiglio regionale diviso: zaiani e dem favorevoli (ma a pesare è un voto contrario del Pd), il resto del centrodestra compatto contro l’iniziativa che avrebbe fatto del Veneto la prima regione con una normativa in materia. Persiste una sola Lega, quella di Salvini

Venezia. Per un punto il Doge perse la cappa. Il Consiglio regionale del Veneto boccia la legge sul fine vita e di fatto stronca sul nascere il sogno di Luca Zaia: un’altra Lega è possibile, liberale e progressista, europeista e attenta ai diritti civili. E invece no. Raus, di ruspe e di forconi. Il governatore non era scivolato nella tentazione di fare della bioetica uno spartiacque politico – “Ognuno voti secondo coscienza”, diceva alla vigilia della seduta. Ma di fatto lo è stato. Perché per la prima volta è caduto lo Zaiastan, il fortino di Palazzo Ferro Fini che per 15 anni ha legiferato liscio come l’olio con maggioranze bulgare. Invece martedì è stata una lotta all’ultima scheda: 22 contrari, 3 astenuti, 25 favorevoli. Ne sarebbero serviti 26. Decisivo il no a sorpresa di una consigliera del Pd. Annunciata l’ostilità del centrodestra: meloniani, forzisti, pure una fetta di Carroccio. E così per Zaia è difficile capire quale dei due sia il fuoco amico. Mentre i colleghi di partito gongolano, lontano dal Veneto, Salvini in testa.

 

Il protagonista lo aveva detto anche al Foglio: “Non dobbiamo lasciare che sia il tempo a risolvere un quadro clinico irreversibile. Serve una normativa ad hoc”. Ci teneva, Zaia. Lo dimostra la sua presenza in aula, non da super partes ma – evento eccezionale, si mormora a Venezia – come entità votante. “Lo faccio contro l’ipocrisia: il Veneto paga lo scotto di essere la prima regione a trattare questa tematica”. Poi si ritira in silenzio, risparmiandosi la discussione in cui se ne sentono di cotte e di crude. Elisa Venturini, capogruppo di Forza Italia, spiega di aver scelto il no su spinta di Tosi e Tajani: una decisione strategica per isolare il governatore. Fortemente ideologica invece la contrarietà di Fratelli d’Italia. Perfino complottista quella di certe mine vaganti del Gruppo misto, come Stefano Valdegamberi (eletto in Lista Zaia): “Allo Stato l’eutanasia conviene per eliminare chi costa troppo al sistema sanitario”. Amen. E il Pd si strappa i capelli, quando la consigliera Anna Maria Bigon annuncia di bocciare il provvedimento per un vizio di forma – “così non va bene: la competenza sul fine vita è statale”. Sarà l’ago della bilancia. Che tanto un centrosinistra compatto non ci sarà mai. Cascasse il mondo, cascasse il Veneto.

 

Il paradosso è che lo spazio di Zaia sembra intrecciarsi sempre di più con quello dei dem. E c’è chi fa del governatore il loro supereroe. Nei giorni precedenti al voto, sono comparsi degli strani camion-vela in giro per il territorio. Sullo sfondo la gigantografia del Doge, che si strappa la camicia e svela il simbolo del Pd: “Agente 00Zaia, uno di sinistra sotto copertura”. Firmato associazione Pro Vita & Famiglia, che gli giura vendetta. “Se approvi il suicidio assistito tradisci i tuoi elettori: ci adopereremo per un imponente travaso dalla Lega a Fratelli d’Italia” – come se non fosse già in corso. In aula il presidente ribadisce di “non c’entrare nulla col Pd. Ma se questo è il livello del rispetto delle idee altrui, ne prendo atto”. E Zaia ha lavorato a lungo, formando quella strana coppia con Marco Cappato e l’associazione Luca Coscioni. Il testo del disegno di legge è stato sottoscritto da più di 9mila veneti. Prevede che la persona richiedente il suicidio medicalmente assistito debba essere nel pieno possesso delle proprie facoltà, soffrire di una patologia irreversibile e dipendere da trattamenti di sostegno vitale: entro 20 giorni, l’interessato dovrà ricevere una risposta dall’Ulss e se positiva ottenere il farmaco in altri 7 giorni. Nulla a che vedere con gli estremismi eutanasici alla canadese, per intenderci.

 

Ma il Consiglio si è espresso. E il verdetto comporta un’implicita cassa di risonanza: se nemmeno in casa propria Zaia riesce a invertire la rotta identitaria del Carroccio, resiste la linea Salvini. Cioè crocifisso e generale Vannacci, sovranismo sciatto e sorpasso su Meloni a destra (auguri). Il governatore non cercava legittimità attraverso il fine vita, ma i suoi avversari sono riusciti a togliergliela votando contro. Soprattutto in ottica terzo mandato, con FdI sorda allo sblocco e i forzisti pronti a mettersi di traverso. Bioetica a parte, la Lega non si accorge che spaccandosi attorno a Zaia rischia di sparire anche quassù. Sarà necessario lo schiaffo delle europee. Quando il futuro del Doge sarà rivelato. Forse però, lui ce l’ha già ben chiaro fin da ora: tramontato un sogno, tramonta lo Zaiastan. E Luca si congederà a testa alta, senza più pesi e senza più terra.

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