cortocircuiti

Patacca Larentia. Il nostro antifascismo tenorile all'estero diventa propaganda putiniana e banalismo liberal

Salvatore Merlo

A riprova del nostro straordinario talento italiano, ecco che mercoledì alla televisione di stato russa hanno mandato in onda le immagini dei mentecatti neofascisti di Acca Larentia: la conduttrice, filoputiniana, ha confermato la necessità di denazificare l’Europa

Quando la patacca italiana valica i confini, di solito raggiunge la sua giusta dimensione internazionale e si fa in qualche modo megapatacca. Patacca in mondo visione, per così dire. Dunque, a riprova del nostro straordinario talento pataccone, ecco che mercoledì alla televisione di stato russa hanno mandato in onda le immagini dei mentecatti neofascisti di Acca Larentia. Sicché Olga Skabeeva, propagandista e conduttrice TV soprannominata “la bambola di ferro” di Putin, ha commentato quel bosco di braccia tese che da circa quarant’anni si stende a Roma ogni 7 gennaio (erano in duemila nel 2017 col governo Gentiloni), spiegando che quanto accade oggi in Italia conferma la necessità di denazificare l’Europa. Vedete, ha detto Skabeeva al suo pubblico, Putin ha ragione: “Davanti ai nostri occhi l’Europa sta tornando alle sue radici e alle sue origini”. Origini fasciste. Ora, a parte il fatto che  i gruppi di estrema destra italiani, insomma quelli di Acca Larentia, sono tutti filo Putin, e al netto della propaganda di guerra russa, qua la situazione sta evidentemente  sfuggendo di mano. Prendiamo per esempio il tweet di Ian Bremmer, uno dei più grandi politologi americani. Mercoledì, Bremmer, dopo aver visto le immagini di Acca Larentia da noi stessi abbondantemente diffuse, e dopo aver letto quel che noi stessi scriviamo sui nostri giornali, ha twittato così: “In centinaia fanno il saluto fascista a Roma all’esterno dell’ex quartier generale del Msi. Nel 2024 non nel 1934”.

Vagli a spiegare che Acca Larentia non è il quartier generale del Msi e che lì a fare i saluti romani ci andavano pure con Mario Draghi (erano 800), con Giuseppe Conte (erano 1.140), con Paolo Gentiloni (erano 2.000), con Matteo Renzi (erano 1.200), con Enrico Letta (erano 700) etc. etc. fino alla notte dei tempi democratici. Il problema è che all’estero non sono abituati a una politica fatta come se si stesse al circo o  al teatro. Non sono abituati alle continue  geremiadi, alle quotidiane richieste di dimissioni, alle abituali denunce, alla retorica tenorile o a Elly Schlein che vuole discutere di Acca Larentia al Parlamento europeo. In pratica non sono italiani. Dunque costoro ci ascoltano, ci guardano, ci leggono, si allarmano e in questo modo compiono forse il più grosso errore che si possa fare. Credono a ciò in cui noi stessi non crediamo per primi: a quello che diciamo. Non sanno che qui da noi l’antifascismo è la continuazione della campagna elettorale  con altri mezzi. Una prammatica senza deroghe che torna a celebrarsi ogni 24 ore piluccando parole a casaccio  dalla grande vite dei luoghi comuni. Noi, al contrario, sappiamo bene che i nostri politici cantano, cucinano, raccontano barzellette e... si accusano di mussolinismo. Però stanno al fascismo come la cara immagine del federale Ugo Tognazzi stava a Mussolini. Si alzava in piedi, curvava le gambe, e a chi gli domandava: “Cavalleria?”, rispondeva prosaico: “Coglioni sudati”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.