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l'Intervista

La destra meloniana è condannata tra “citrulli” ed Elon Musk? Parla Ricolfi

Marianna Rizzini

“Sì, a Fratelli d’Italia manca una vera classe dirigente”, dice Ricolfi. Ma il deputato pistolero c'entra ben poco. "Un pirla imperdonabile può saltare fuori sempre e ovunque". Colloquio con il sociologo

Da giorni si discute sulla particolare condizione in cui si trova la premier Giorgia Meloni, leader di un partito che ha sfiorato il trenta per cento ma sembra “comportarsi” come se restasse inchiodato al quattro: il caso del deputato Emanuele Pozzolo – con lo sparo di Capodanno – è rivelatore di quella che pare oggi una condizione strutturale. Sembra infatti mancare una classe dirigente all’altezza del compito, tanto che i congressi locali di FdI, in molte città, come raccontato ieri da questo giornale, hanno visto l’affermazione al vertice (senza combattimento) di deputati, senatori, consiglieri comunali. Perché? Da dove viene questo gap — da un lato grande ambizione, dall’altro mancanza di uomini su cui poggiarsi? “Sì, a Fratelli d’Italia manca una vera classe dirigente”, dice il sociologo e politologo Luca Ricolfi, “ed è magra consolazione che quella dei Cinque Stelle sia ancora peggio o che quella del Pd sia in gran parte fatta di educati mediocri, pallide controfigure delle classi dirigenti Pci e Psi. Ma il ‘deputato pistolero’, a mio parere, c’entra poco con il gap fra grandi ambizioni e modesti dirigenti politici. Un pirla imperdonabile può saltare fuori sempre e ovunque, anche in un partito pieno di competenti”. Quanto all’origine del gap, dice Ricolfi, “credo non si possa indicare una sola causa. C’è la rapidità con cui è cresciuto FdI, e la conseguente impossibilità di fare l’esame del sangue a tutti i nuovi adepti. C’è il decadimento generale del ceto politico di tutti i colori. C’è il senso di rivalsa, che dopo decenni di esclusione dai circoli che contano spinge a promuovere i propri fedelissimi, quasi un risarcimento per aver condiviso l’esilio. E poi, sopra ogni cosa, c’è l’imbarazzante ristrettezza del bacino cui attingere: fra i ceti alti, in quasi tutti i campi, le persone dichiaratamente ‘di destra’ sono un’esigua minoranza, tendenzialmente ostracizzata e tenuta alla larga come si fa con i lebbrosi. Qualcuno si è mai chiesto come mai, ai tempi delle grandi vittorie di Berlusconi, Marcello Veneziani era diventato il prezzemolo del centrodestra, che saltava fuori per qualsiasi incarico per cui si dovesse piazzare qualcuno non di sinistra? Oggi non è cambiato quasi nulla: togliete Veneziani-Cardini-Buttafuoco-Sgarbi-Giuli-Guerri-Sangiuliano, che cosa resta?”.

Gianfranco Fini dice che FdI dovrebbe aprirsi alle migliori energie del paese, diventare più liberale. Allo stesso tempo, la destra meloniana coccola i suoi simboli, tra cui Elon Musk, conservatore eccentrico e trasgressivo. Quale modello deve seguire Meloni se vuole rinnovare la propria classe dirigente? “Non sono sicuro che Meloni sia così ansiosa di rinnovare la sua classe dirigente”, dice Meloni, “se non altro perché di fuoriclasse liberi sul mercato politico se ne vedono ben pochi. Più sono di razza, più i vari intellettuali, studiosi, giornalisti tendono a stare alla larga da un ceto politico screditato, e più se ne lasciano sedurre meno sono di razza. Io capisco che Meloni possa pensare: per prendermi questo narciso di medio valore, tanto vale che mi tenga i miei, che saranno ciucci pure loro, ma almeno sono fedeli. Probabilmente è un errore, ma è comprensibile. Semmai mi viene da rimproverare il manipolo di intellettuali di destra, o meglio di non-sinistra, che un dibattito culturale interessante sarebbe perfettamente in grado di suscitarlo”.

E’ come se fosse impossibile portare alla luce le diverse “tendenze” in FdI. C’è una via di uscita a quella che sembra una scarsa attitudine al contraddittorio interno? Ricolfi crede di no “perché l’eventuale contraddittorio finirebbe per essere fra correnti e piccole cordate, non fra opzioni ideali e visioni culturali diverse. Ma questo riguarda tutti, anche l’istruito e civilissimo establishment pd. Provate a leggere le mozioni congressuali di Schlein-Bonaccini-Cuperlo-De Micheli, confrontatele con il dibattito sul compromesso storico nel Pci, o con quello su ‘meriti e bisogni’ nel Psi, e poi ne riparliamo”. FdI sembra avere una sorte di ossessione per l’informazione (vedi le polemiche sul bavaglio e non solo). “Sinceramente, non saprei. Se c’è un’ossessione per l’informazione, mi pare mal gestita. E ora che non c’è più Berlusconi, capisco ancora di meno dove si vuole andare a parare con le tv. Per me, la prima cosa che manca alla destra sul piano culturale è un grande quotidiano anticonformista e conservatore (alla Montanelli) – che sappia essere critico anche con la destra. Non ho mai capito perché, dopo l’uscita-estromissione di Montanelli dal Giornale, nessuno abbia mai provato a giocare questa carta. E dire che sono passati 30 anni…”. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.