Giorgia Meloni ed Elly Schlein - foto Ansa

L'editoriale del direttore

Meloni e Schlein, chi l'incoerenza la cavalca e chi la subisce. Casi di scuola

Claudio Cerasa

La coerenza è stata una bandiera per la premier. Una volta a Palazzo Chigi, però, è cambiato tutto. La segretaria del Pd, invece, davanti alla possibilità di essere incoerente si pietrifica. Ma è il trasformismo che salverà l’Italia

Il punto è sempre quello, la conferenza stampa di inizio anno di Meloni lo ha confermato e al centro dello scontro tra le due contendenti, tra Schlein e Meloni, c’è sempre quella parola: l’incoerenza, bellezza. Se dovessimo individuare prima ancora che una persona dell’anno una parola dell’anno, sia per l’anno appena trascorso sia per l’anno appena cominciato, quella parola, per quanto riguarda l’Italia, sarebbe certamente una e solo una. Una parola strapazzata, inflazionata, ma la cui negazione negli ultimi mesi ha permesso al nostro paese di salvarsi. Coerenza. Dal vocabolario: coerenza è la costanza logica o affettiva nel pensiero e nelle azioni. Parola stupenda, iconica, pop, identitaria, molto abusata e utilizzata da anni da tutti i politici di destra e di sinistra per affermare un cocktail di valori, scusate la parola, contenente i seguenti ingredienti. Sono coerente e dunque genuino. Sono coerente e dunque onesto. Sono coerente e dunque sempre me stesso. Sono coerente e dunque cristallino. Sono coerente e dunque di me vi potete fidare. Se dico A, sarà A. Se dico B sarà B. Se dico C, sarà C. E se dico E fidatevi: non sarà mai F Sono coerente, su: guardatemi negli occhi. Non sono come gli altri.

La coerenza è stata per molti anni una bandiera per Giorgia Meloni, più della famosa fiamma nel simbolo del proprio partito, ed è anche brandendo la spada della coerenza che la leader di Fratelli d’Italia ha scalato posizioni, superato i rivali e conquistato Palazzo Chigi. La fortuna dell’Italia ha voluto però che una volta conquistato Palazzo Chigi la coerenza si sia trasformata nel suo opposto ed è grazie a questa transustanziazione, per così dire, che la nuova Meloni è riuscita a imbrigliare la vecchia Meloni, governando le sue contraddizioni, le sue giravolte e a volte anche le sue bugie (scuola Cav.: mentire, a volte, sapendo di poter smentire). Lo abbiamo ripetuto spesso in questo anno e l’elenco delle non coerenze di Meloni potrebbe essere infinito. Incoerente sull’Europa (prima contro, ora a favore). Incoerente sull’immigrazione (l’Europa prima era il problema, ora la soluzione). Incoerente sulle tasse (le accise erano il male, oggi non lo sono più). Incoerente sulle pensioni (mandare in pensione il prima possibile i sessantenni era una priorità, ora non lo è più). Incoerente sulle partite industriali (la vendita di Ita a Lufthansa era un dramma, ora non lo è più). Incoerente sulle alleanze europee (immaginare di eleggere un presidente di Commissione con il Pse era impensabile, oggi non lo è più). Incoerente sui suoi predecessori (criticare il governo Draghi quando era all’opposizione era una virtù per Meloni, oggi criticare Draghi è diventato un tabù). Incoerente nei rapporti con i vecchi amici (andare a braccetto con Orbán era la normalità, oggi è un’eccezione). Incoerente nei rapporti con i vecchi nemici (insultare Macron era la prassi, oggi la prassi è rivendicare i buoni rapporti tra i due). Incoerente con i suoi vecchi idoli (Trump era un simbolo da sbandierare, oggi è un simbolo da evitare). Incoerente sull’iter parlamentare della legge di Bilancio (quando era all’opposizione, approvare la manovra a ridosso del Capodanno era un attacco alla democrazia, oggi non lo è più). 

L’incoerenza di Meloni ha salvato l’Italia dalla destra nazionalista e ha rappresentato la vera cifra del primo anno pieno di governo meloniano (Mes a parte). E l’incoerenza, in fondo, per arrivare agli avversari di Meloni, è la vera cifra di un tratto interessante della politica italiana. In un mondo in cui tutti o quasi i politici si considerano coerenti (o “seri”, come direbbe Carlo Calenda), la vera forza della politica sembra essere invece saper gestire con classe e con nonchalance la possibilità di essere clamorosamente incoerenti con se stessi. C’è dunque chi l’incoerenza la maneggia, la domina, la governa, trovando dei modi creativi per risultare coerente anche nella propria incoerenza (è così Meloni, naturalmente, ma è così anche Giuseppe Conte, che essendo stato in grado, nel passato, di interpretare ogni parte in commedia avrà sempre un vecchio Conte con cui essere coerente). E c’è invece chi l’incoerenza potenziale la subisce, ne ha paura, la teme e chi dunque di fronte alla possibilità di essere incoerente semplicemente si pietrifica, si autoannienta, si smaterializza. La leader del Pd, Elly Schlein, da questo punto di vista è un caso di scuola. Vive all’interno dell’incubo dell’incoerenza. Vive ossessionata dall’idea che la Schlein percepita possa essere diversa da quella reale (Schlein cerca di essere coerente con la sua storia, sempre, ma deve fare i conti con il fatto che essere leader del Pd costringe a mediazioni, e spesso dunque Schlein dà l’impressione di voler dire qualcosa che non può dire fino in fondo perché come leader del Pd deve trovare mediazioni, anche con se stessa, e dunque meglio la formula Antani). Vive, per capirci, nell’angoscia che ci possa essere qualcosa del suo passato, qualcosa che ha detto, qualcosa che ha scritto, qualcosa che ha fatto, non armonico con ciò che fa oggi, con ciò che dice oggi, con ciò che pensa oggi. E per questo si muove con passo lento, a volte impacciato, anche perché non saprebbe come argomentare una posizione del presente diversa da quella del passato (anche se in verità basterebbe poco, basterebbe un po’ di flessibilità in più, un po’ di scaltrezza in più, un po’ di sicurezza in più per trasformare l’assist offerto da Meloni, il confronto in tv, in un’occasione per ribaltare gli equilibri, cambiare narrazione e dimostrare alla premier che un avversario da temere c’è e si chiama Pd non M5s e neppure Lega).

In politica c’è insomma chi riesce a essere perfettamente a suo agio nel suo essere a volte tutto e il contrario di tutto, in tutte le circostanze, e chi invece sapendo giocare solo una parte in commedia non riesce ad adattarsi ai tempi che cambiano, ai ruoli che mutano, ai contesti che si trasformano. I leader capaci di gestire l’incoerenza sono leader in grado di crescere, di cambiare pelle. I leader incapaci di gestire l’incoerenza sono leader destinati ad avere un grande futuro alle spalle. Non è detto che i leader incoerenti siano quelli che si trovano dalla parte giusta della storia, anche perché i leader che cambiano spesso idea sono quelli che semplicemente non hanno una propria idea e si adattano al vento, si adattano alle circostanze, si preparano semplicemente a seguire l’algoritmo del consenso, nell’attesa di ricambiare idea per giocare una nuova parte in commedia. Ma ciò che è certo è che i leader che non hanno carte diverse dalla coerenza sono leader che sanno giocare solo una parte e quando quella parte diventa vecchia non sanno come cambiare. In politica, diceva Prezzolini, la coerenza tende a somigliare spesso alla virtù degli sciocchi (Prezzolini usava un’altra parola). Oggi forse direbbe che l’incoerenza è invece la virtù di chi deve fare i conti con una necessità vitale della politica moderna: trasformare il proprio camaleontismo, il proprio trasformismo, in una spia di flessibilità, di capacità di adattarsi ai tempi che cambiano, anche a costo di dover ammettere che solo gli imbecilli potevano sperare che le sciocchezze dette nel passato avrebbero potuto diventare realtà. Un giorno forse ci sarà anche una visione, un’idea di paese, come si dice, ma intanto si può dire con certezza che il trasformismo salverà l’Italia e che l’Italia degli incoerenti ha più probabilità di affermarsi sull’Italia dei coerenti. Rileggersi Prezzolini per capire il perché. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.