Giorgia Meloni - foto Ansa

Polemiche

La conferenza stampa rimandata di Meloni e la surreale pretesa della Fnsi di metterle il bavaglio

Maurizio Crippa

Causa influenza, la premier ha di nuovo rimandato la conferenza di fine anno "a data da destinarsi". Intanto, per protesta contro la cosiddetta “legge bavaglio”, il celebre emendamento Costa, i giornalisti sindacali hanno deciso di non partecipare comunque

Ci può essere qualcosa di più surreale di una conferenza stampa rimandata di giorno in giorno, a ogni giro di termometro, perché la personalità attesa davanti ai taccuini e cioè il presidente del Consiglio, non un’imbonitrice di pandori, chiamata a fare il bilancio di fine anno è afflitta da una fastidiosa influenza? A data da destinarsi, ha informato il bollettino medico ieri. Può succedere. Ma qualcosa di molto più surreale in effetti c’è, e diventa vieppiù imbarazzante visto che sono costretti a trascinarla in lungo come l’influenza. È una conferenza stampa in cui i giornalisti – o per essere meno totalizzanti il sindacato dei giornalisti, la Fnsi – cioè i professionisti dell’informazione che dovrebbero cavare le risposte al Potere e offrirle ai cittadini hanno invece deciso di mettere il bavaglio alla persona che dovrebbe rispondere. Cioè Giorgia Meloni. Per protesta contro la cosiddetta “legge bavaglio” del resto non ancora approvata (in ogni caso, a dar retta ai giornali tradizionalmente più sensibili alle procure saremmo alla millesima “legge bavaglio”), la Fnsi ha deciso di non partecipare alla conferenza stampa della premier.

 

Nodo del contendere è il celebre emendamento Costa che vieta la pubblicazione “integrale o per estratto” del testo delle ordinanze di custodia cautelare.
Il che non vuol dire, come sostenuto con principio ipotetico della surrealtà da Eugenio Albamonte, che “con la norma Costa le persone spariranno nel nulla come in Cina”. Infatti la norma si applica solo fino all’udienza preliminare, poi col processo tutto diventa pubblico. Una norma di civiltà intesa a tutelare la presunzione d’innocenza e anche il diritto dei cittadini a non essere infangati, o sputtanati, da accuse e dichiarazioni ancora tutte da vagliare, persino preliminarmente. Non è surreale, purtroppo, che il sindacato unico dei giornalisti (se mai abbia un senso un sindacato che si pretende rappresentativo di tutti i lavoratori) intenda come “bavaglio” una norma di pura decenza: siamo abituati da decenni a giornali che fanno della propalazione di segreti giudiziari e carte chissà come fuggite dai tribunali fonti di notizia. Per solito usate come manganelli. Ma che questa posizione voglia diventare addirittura totalitaria – la finzione o pretesa è che, attraverso la Fnsi, “tutti” i giornalisti disertino l’incontro – è più che surreale. Se non altro perché il rappresentante a capo di “tutti” è un giornalista che ha passato un vita in Rai, Vittorio Di Trapani, e già segretario dell’Usigrai, altro sindacato che si pretende unico. “Un Gesù attorniato da discepoli”, lo definì Carlo Verdelli.

 

Invece ci saranno giornalisti che quel bavaglio a Meloni non vorranno metterlo e non ritengono di essere minacciati nella loro attività. Il nuovo sindacato Rai, Unirai, ci sarà. Eppure Fnsi e l’Ordine dei giornalisti, ritengono, a nome di tutti, che “il divieto di pubblicare anche solo ‘stralci’ delle ordinanze di custodia cautelare non ha nulla a che vedere con il principio di presunzione di innocenza, ma costituisce una pesante limitazione del diritto di cronaca”. Invece pubblicare i materiali di lavoro di procura, anziché limitarsi a un sobrio riassunto, sarebbe il giornalismo? Ai tempi di Mani pulite i pm mettevano in cima al carrello dei fascicoli quello con il catturando di giornata, così i cronisti potevano mettere le mani nella marmellata e avere la notizia (ringraziando s’intende). Ma ora, a nome di tutti giornalisti, invece di fare domande Fnsi vuole mettere il bavaglio a chi dovrebbe rispondere. I lettori ringraziano. Surreale.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"