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lo scenario

Sul premierato il governo Meloni fa la conta dei sì e prepara il referendum

Redazione

Casellati apre alle modifiche della riforma per ampliare il consenso in Parlamento. Ma Calderoli. "Non raggiungeremo mai i due terzi". Opposizioni compatte sul no

Nel fine settimana l'hanno definita la "caccia a 35 parlamentari d'opposizione". Sarebbe l'aiuto (21 deputati e 14 senatori) di cui la maggioranza avrebbe bisogno per approvare la riforma costituzionale che introduce il premierato senza passare dal referendum. Ovvero grazie a una maggioranza qualificata, i due terzi delle due camere. Ma nello stesso governo, questo retropensiero, rilanciato da un'intervista del presidente del Senato Ignazio La Russa nei giorni scorsi, sta perdendo quota ora dopo ora.

La ministra per le Riforme Elisabetta Alberta Casellati aveva aperto a possibili emendamenti della riforma in Parlamento, specificando che "le modifiche devono essere coerenti e lo spirito delle opposizioni non pregiudiziale" e auspicando una più larga convergenza, così come aveva dato a intendere anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Ma è sempre nello stesso esecutivo che lo scenario di un aiuto esterno viene fortemente ridimensionato. "I due terzi non si raggiungeranno mai. Il confronto è con opposizioni che, prima ancora di leggere il testo, hanno annunciato i comitati del no", ha detto intervistato dal Corriere della Sera il ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli. Lasciando intuire come il governo sia già al lavoro per la fase successiva: e cioè quella in cui bisognerà coinvolgere direttamente gli italiani chiamandoli alle urne. Prospettiva non fortunosa per i premier che vi si sono avventurati in passato. Per questo, il governo sarebbe intenzionato a istituire una specie di task force con sondaggisti che guidino l'esecutivo anche nella scrittura dei quesiti referendari, una scelta che secondo Palazzo Chigi potrebbe fare la differenza rispetto all'esito della consultazione. 

Fatto sta che mentre il governo s'avvia a un lungo percorso, che dovrebbe portare alle urne nel 2025, le opposizioni si ricompattano sul no alla riforma. "E' una schifezza. Indebolisce il Parlamento e le prerogative del presidente della Repubblica. È uno stravolgimento della Costituzione e della Repubblica parlamentare", ha detto ieri la segretaria del Pd Elly Schlein. Seguita a ruota, quest'oggi, anche dal leader di Azione Carlo Calenda. "Questa riforma è un'arma di distrazione di massa", ha detto. Insistendo sul modello tedesco che riveda profondamente l'assetto istituzionale italiano, a partire dal ruolo del Parlamento. Gli occhi però sono puntati principalmente su Italia viva: Matteo Renzi, in linea di principio, non è mai stato contraria all'ipotesi di eleggere direttamente il presidente del Consiglio. Anche se la sua proposta, il sindaco d'Italia, differisce sostanzialmente da quella del governo. Oggi Maria Elena Boschi, esponente di Iv, in un'intervista alla Stampa è sembrata porre dei paletti: "No alla norma anti-ribaltone. Se cambiano la riforma, la voteremo", ha detto. Ma da solo il gruppo di Italia viva non basterebbe a un'approvazione della riforma senza passare delle urne. E' per questo che dal governo su questa prospettiva ci investono poco.

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