alla camera

Mozione su Israele al 90° minuto. Bonelli di qua, Braga di là ed Elly (dov'è?)

Salvatore Merlo

Cronaca calcistica del testo "unitario" scritto e riscritto dal centrosinistra, a fatica, sui divanetti di Montecitorio

Mentre cadono bombe su Gaza e missili su Ashkelon, il centrosinistra prepara la mozione “unitaria” sulla Palestina. La scena è questa: in una penombra da fumeria, nella cosiddetta sala lettura di Montecitorio (il posto dove tutti vanno a dormire) c’è Chiara Braga. Che però è sveglia, diciamo. La capogruppo del Pd è china su un foglio. Sembra un quadro di Caravaggio. Ecco che arriva Provenzano, le dice una cosa. Lei cancella. Riscrive. Poi arriva Silvestri, il capogruppo grillino. E lei cancella. Riscrive ancora.  Alla fine sembra soddisfatta. Ma c’è Fratoianni con la sigaretta elettronica: “Eh no, così non va”. Si ricomincia.

Tutto questo avviene en plein air, come si suol dire. Davanti a tutti. È un po’ come se, ai tempi della Prima Repubblica, invece di telefonarsi o di vedersi nel chiuso di una stanza, i membri del Caf si fossero messi a discutere di Sigonella nel mezzo del Transatlantico. C’è un problema con la parola “Hamas”, pare. Sinistra italiana vuole un riferimento agli aiuti umanitari a favore dei palestinesi, sembra. “Non è abbastanza di sinistra”, dicono i Verdi. E poi: ma Elly che dice? Boh. Elly dov’è? Sicché le bozze di questa risoluzione, cancellata, riscritta, rimodellata, emendata, ricucita, suturata, limata, smerigliata, cestinata e ricreata cominciano a circolare vorticosamente, arrivano sui whatsapp di tutti nel Palazzo. Tutti le conoscono e le commentano. In diretta. Minuto per minuto, come nella trasmissione del calcio. Si sovrappongono realtà parallele, ipotesi di futuro che si materializzano sui cellulari di ciascuno. E dev’essere  una specie di divertimento nel quale il centrosinistra si bea, come il lebbroso che si ficca le unghie nelle piaghe per sentirle meglio: adesso, mentre il medio oriente brucia, noi  facciamo vedere a tutti quanto siamo divisi, quanto non andiamo d’accordo, quanto siamo inaffidabili. E la cosa dura ore. A un certo punto  ci manca poco che quelle  bozze le abbiano pure i commessi della Camera. I giornalisti ci sguazzano. Nel corridoio fumatori Arturo Scotto, che è rientrato da poco nel Pd e subito ha votato contro l’invio delle armi in Ucraina, scuote la testa. Fratoianni gli chiede aiuto. Un consiglio? Un conforto? Entrambi gesticolano, e con la coda dell’occhio controllano che i cronisti li vedano e li sentano. Anche se i cronisti più che altro sbadigliano.

Ma ecco che all’improvviso Braga si alza – Eureka! Ce l’ha fatta! – e si mette a correre verso l’Aula, verso l’emiciclo, con questo foglio in mano, la bozza di risoluzione, anzi il Graal, che però a furia di essere cancellata e toccata e ritoccata da cento mani pare ormai un fazzoletto da naso (usato). Silvestri la insegue, correndo pure lui. A sua volta però Silvestri è inseguito da alcune ragazze dello staff grillino: “Fermalo, fermalo, ferma Francesco perché ha sbagliato, ha votato la versione sbagliata della bozza”. Ecco. La scena ovviamente dà a noi, che siamo degli ostinati sedentari, l’emozione di sentirci sia pure fuggevolmente sportivi. Ma dura giusto un attimo. Poco dopo li si rivede uscire dall’Aula, mogi mogi. E’ andata male. Si ricomincia. Foglietto, penna, cancellature, asterischi. La stessa mosca che si posa sugli stessi nasi. “C’è un errore di italiano”, dice Fratoianni. E Provenzano: “Dammi pure lezioni di politica, ma non di italiano”. In mezzo c’è sempre la signora Braga. Spunta pure Guerini, l’ex ministro della Difesa. E ora c’è anche Bonelli, il pacifista verde: “Bisogna garantire i diritti dei palestinesi”. La capogruppo del Pd è circondata. Ascolta tutti con la stessa aria di uno al quale stanno leggendo in fretta una lunga e complicata ricetta dell’Artusi, insomma con una faccia tra angosciata e smarrita: si direbbe che la stiano obbligando a inventare l’alchermes o la formula della fissione nucleare fredda.

Ecco. Dopo sei ore, alla fine, ieri si sono accordati. Supponiamo che i dirigenti di tutte le coalizioni politiche del mondo si vedano tra loro, confrontino le rispettive posizioni, raggiungano qualche intesa: ci sembra naturale e umano. Supponiamo tuttavia che tendano a farlo al telefono. O di persona, sì, ma comunque nel chiuso di una stanza. Talvolta, in questi tempi internettiani, anche via Skype o su WhatsApp. Se non addirittura per lettera, come Jacopo Ortis. Mentre il dramma che perpetuamente si svolge nel centrosinistra italiano è del tutto particolare, e sempre più spesso ci offre l’idea d’una certa macerata  improvvisazione, come d’una  schiettezza estenuata, di qualcosa che insomma non si capisce bene se sia stata appena cotta lessa o in tegame a fuoco lento, col latte, come il baccalà alla vicentina.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.