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La Diatriba

Per immunizzarsi da un pensiero tossico, meglio il ridicolo dei divieti

Chiara Lalli

Dal caso di Valérie Trierweiler a quello di Roberto Vannacci, il tic moralistico e le implicazioni delle decisioni commerciali sull’anima di chi le prende. Se teniamo davvero alla libertà dovremmo proteggerla anche quando è orrenda

"Io non lo vendo”, scrive sul suo profilo e in stampatello una libraia di periferia e indipendente riferendosi al libro di Roberto Vannacci Il mondo al contrario che dopo l’autopubblicazione milionaria invidiata un po’ da tutti ha un editore (Ancora parliamo di Vannacci, deve essere una stagione un po’ fiacca). La libraia è orgogliosa di non venderlo e se la prende con un’altra libraia che oserebbe venderlo nonostante avesse dichiarato il contrario. Questa ultima è la parte più noiosa – chi ha dichiarato cosa, se lo vende oppure no, se è in catalogo e basta – anche se rimane il mistero rispetto alle “sei edizioni dei Mein Kampf che Roberto Vannacci dice di aver controllato che ho”. Ed è proprio questa la parte interessante, il tic moralistico “qui vendiamo solo libri da Gadda in su” (oddio ho sbagliato esempio perché forse non si devono vendere i fascisti e quindi facciamo da Ignazio Silone) e le implicazioni di quella decisione commerciale sull’anima di chi la prende.

Non è certo una novità. Vi ricordate il cartello di un libraio francese “Non abbiamo il libro di Trierweiler”? Valérie Trierweiler aveva scritto un libro sul suo ex François Hollande – non in termini lusinghieri né come cronaca politica – e quel cartello era stato adottato da tanti altri ed era diventato velocemente un simbolo di integrità e di come i tempi si erano corrotti, signora mia, ma ti pare che vendiamo questo libro scandalistico, noi figli di Émile Zola? Pare che in realtà il libraio numero uno fosse solo stufo di rispondere a quelli che chiedevano Merci pour ce moment e avesse scritto quel cartello per la noia di dover ripetere sempre che no, non era ancora arrivato, maledetti distributori. Insomma come un pizzicagnolo che scrive “non abbiamo più guanciale”. Nessun comandamento morale, nessun manifesto politico. Ma si sa che poco importano le intenzioni nell’infernale meccanismo dei cuoricini e dei commenti. Tornando alla nostra libraia, è difficile interpretare male quell’io non lo vendo e avrei voglia di chiederle: si sente migliore di noialtri che venderemmo anche Squadrismo di Farinacci e il diario segreto di nostra cugina? Mi pare molto verosimile. Ma lo è? Perché a me pare solo un posizionamento da scuole medie, una ostinata e fanciullesca insistenza nel dover ripetere di essere i più bravi, cercando lo sguardo di approvazione della maestra.

Mi viene in mente quello che aveva risposto Noam Dworman, il proprietario del Comedy Cellar, quando Louis CK si era presentato a sorpresa dopo lo scandalo sessuale di qualche mese prima (Comedy Cellar Owner on Louis C.K.’s Surprise Performance: “I Don’t Know What the Standard Is”, The Hollywood Reporter, 28 agosto 2018). Alcune donne lo avevano accusato di essersi masturbato davanti a loro e, dopo l’ammissione, Louis CK era sparito per un po’ per ricomparire un sabato sera al Comedy Cellar. Giusto? Sbagliato? L’intervista a Dworman è da leggere e rileggere, soprattutto quando ricorda una vecchia storia. La difesa di David Goldberger, avvocato ebreo dell’American Civil Liberties Union, di una marcia nazista in un quartiere ebreo di Chicago. Immaginate le reazioni e ammettete le vostre: pensate davvero che la ragione della difesa fosse essere filonazisti? Difendere la libertà di qualcuno è molto facile quando siamo d’accordo. Ma se teniamo davvero alla libertà, dovremmo proteggerla anche quando è sgradevole e orrenda. Certo, dobbiamo definirne i confini, ma poi non restringerla per antipatie o disgusto (anche legittimo). C’è infine un’altra questione: siamo sicuri che non sia strategicamente preferibile veder marciare degli ossessionati? Non potrebbe essere il ridicolo – e non i divieti – la migliore risposta e la più potente forma di immunizzazione?

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