la strategia

Così con la sua nuova corrente Franceschini offre le garanzie del Pd al Colle

Luca Roberto

La nuova area culturale che sostituirà Areadem oltre a sostenere Schlein servirà, nelle intenzioni dell'ex ministro, a giocare di sponda con il Quirinale. Nell'eventualità che durante la legislatura servano soluzioni d'emergenza

Dove va l’arcipelago di Franceschini? Per ora nessuno può predirlo con certezza. Eppure pare che l’ex ministro abbia sentito soprattutto l’urgenza di comunicare per vie informali che il Pd, nel grande gioco della politica che è soprattutto management  dell’imprevisto, non ha alcuna voglia di rimanere alla porta. L’obiettivo è anche offrire una sponda a soluzioni istituzionali emergenziali, qualora ce ne fosse bisogno. Sapendo che è premura del Partito democratico continuare a offrire di sé l’immagine di “partito di governo”. Parafrando un verso dei Post Nebbia: è destabilizzante realizzare che in fondo non si sta poi così male all’opposizione. Ma meglio farsi trovare pronti se tutto dovesse caracollare. Soprattutto se è la stessa premier Meloni a dire, come ha fatto ieri a Malta parlando della crescita dello spread, che “i soliti noti vorrebbero il governo tecnico e la sinistra ha già la lista ministri”.

 

Così, nel lancio di questa nuova correntona che dovrebbe arruolare una fascia trasversale di esponenti qui confluiti dopo lo scioglimento di Areadem, in programma entro dicembre, Dario Franceschini ha voluto infondere nei suoi (ma non solo) la convinzione di poter fungere da polizza assicurativa. O meglio, da cuscinetto da porre nel mezzo tra l’andamento della legislatura e tutto quel che d’imprevedibile solitamente, a un certo punto, si scatena durante l’attività di governo. Si badi bene, la nuova area culturale (guai a chiamarla corrente) non ha alcuna altra intenzione dichiarata se non quella di sostenere la segreteria Schlein, di provare a offrire contenuti che accompagnino la nuova leader per una traversata più liscia, nonostante l’incarico solitamente logori chi ce l’ha. E del resto l’ex ministro della Cultura è pur sempre il “cacicco” che più si è speso per la mozione di Elly, il primo a salire sul carro. Ne ha auscultate anzitempo le caratteristiche di rottura. Ne continua, anche in privato, a tessere le lodi, perché “lei rappresenta il vero cambiamento. Ha bisogno di tempo, dobbiamo sostenerla tutti insieme”. Insomma, non ha intenzione di trasformarsi in uno strumento di pressione, per riacquistare una centralità che evidentemente non ha mai perso. Per dire, reclamando un qualche incarico direttivo. No, l’ambizione è più sfumata e per questo di più ampia portata. Più che altro, la creatura franceschiniana è una speciale rete di protezione stesa sul partito, che in questi mesi ha molto risentito di una leadership ondivaga che su troppe questioni continua a opporre un “decideremo quando saremo al governo”.

 

E’ anche questa patina di in-decisionismo che ha convinto Franceschini a costituire l’Arcipelago (un nome provvisorio). Le riunioni con, tra gli altri, Nicola Zingaretti, Chiara Braga, Roberto Speranza, Marco Meloni, con il coinvolgimento diretto del sindaco di Firenze Dario Nardella, sono servite a restituire l’impressione di un partito in movimento, in grado di ristrutturarsi al suo interno. Di incidere, rispetto alla linea che bisognerà avere il coraggio di intraprendere sui singoli dossier. Ma anche, e soprattutto, a recapitare un messaggio dalle parti del Colle. Perché non passi l’idea che sotto alla leadership Schlein, il Pd possa essere avulso da qualsiasi prospettiva cui potrebbe andare  incontro il paese nei mesi (e negli anni) a venire. Semplificando: l’ex ministro della Cultura, che vanta una solida interlocuzione con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quest’allargamento di Aredem l’ha visto anche come una profferta in risposta alle inquietudini di chi in queste settimane ha captato un’insofferenza del Pd nei confronti del suo passato governista. E serve, nelle intenzioni di Franceschini, a riproporre il mantra del “faremo la nostra parte per il paese”. Senza che questo voglia alludere a un piano che prevede scossoni nel breve periodo. Tutt’altro.

 

Proprio qui sul Foglio abbiamo scritto del progetto che una parte dei più scafati dirigenti democratici brama per sostituire Meloni a Palazzo Chigi in caso di un’implosione repentina della maggioranza, visto che la durata media dei governi in Italia è 14 mesi e la scadenza arriva a dicembre (ma nessuno la prende troppo sul serio). Le fiches non verrebbero riposte su Schlein, bensì su Paolo Gentiloni, che non a caso è diventato un bersaglio costante di Meloni e Salvini. Il lavorìo di Franceschini, insomma, si muove in questo solco. Nella convinzione che se nel post elezioni europee lo scenario politico dovesse precipitare, Schlein, a prescindere dal fatto che resterà o meno segretaria, dovrà essere circondata di personalità aduse a gestire passaggi delicati mettendo a disposizione il proprio network diplomatico. Perché chi tra i dem ha esperienza, sa che se il pallino del gioco dovesse finire nella mani del Pd, difficilmente la segretaria avrebbe chiaro in testa cosa fare.

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