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La soluzione

Altro che Piano Mattei, ecco la Fondazione E4Impact in Africa

Cristina Giudici

L'organizzazione, operante in 20 paesi africani, procura programmi di formazione imprenditoriale, acceleratori di impresa e molteplici progetti, partnership tra aziende italiane e africane. Il motto è: "Liberi di emigrare quanto di restare"

Il Piano Mattei, di cui tanto parla Giorgia Meloni ma che pare fatto solo di parole, esiste invece altrove: c’è chi lo ha già programmato, lavorando sottotraccia con la società civile, con robusti ordini religiosi e aziende. Parte da Milano grazie alla Fondazione E4Impact, presieduta da Letizia Moratti e diretta dal ceo Mario Molteni, professore di Economia aziendale alla Cattolica. Con un motto che rende bene l’idea: liberi di emigrare quanto di restare. Se ne è parlato in un convegno alla Cattolica: “Un’immigrazione dignitosa dall’Africa per il lavoro e il futuro dell’Italia”, dove è stato analizzato lo squilibrio demografico nel nostro paese e dove il demografo Alessandro Rosina ha parlato del modello positivo della Germania, che ha coniugato le politiche per la natalità alla formazione della mano d’opera.

A quasi dieci anni dalla più grande strage avvenuta nel Mediterraneo il 3 ottobre 2013, pochi sanno che E4Impact (di cui fanno parte anche l’Eni e Intesa Sanpaolo) opera già in 20 paesi africani con programmi di formazione imprenditoriale, acceleratori di impresa e molteplici progetti, partnership tra aziende italiane e africane con oltre 6.000 imprenditori africani. Mentre il governo si infila nella palude dei nuovi Cpr, la rete creata dalla Fondazione E4Impact procede col suo Piano Mattei e un obiettivo ambizioso: diventare entro il  2025 protagonista dello sviluppo di imprese sostenibili in Africa, offrendo servizi di formazione, accesso al mercato e opportunità e di finanziamento in oltre 25 paesi. Consapevole che le quote regolari dei decreti flussi, tanto evocate nei talk-show, servono come una sanatoria mascherata dei lavoratori irregolari che sono già in Italia.

Perciò aprire un flusso di migranti già formati ha un triplo vantaggio: reperire forza lavoro fra i migranti economici che altrimenti si affidano ai trafficanti di esseri umani, creare network e investimenti nei paesi africani e usare un approccio costruttivo per le politiche migratorie. “Abbiamo sotto gli occhi una tragedia immane ma dobbiamo continuare a pensare di essere di fronte a un fenomeno strutturale, non emergenziale”, ha osservato Letizia Moratti che considera i 10 punti esposti dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, un piano fragile perché prescinde dagli investimenti in Africa. Al centro della discussione fra associazioni di categorie (Coldiretti e Confapi), il gruppo (sanitario) San Donato che investe in Africa e nel medioriente da dieci anni, dove forma medici e infermieri che vengono a lavorare in Italia e poi talvolta tornano indietro, Webuild (costruzioni), esponenti del terzo settore cattolico fra cui i salesiani, c’è stato il tema cruciale di come affrontare il futuro in Africa dove nel 2030 ci saranno 30 milioni di giovani che entreranno nel mercato del lavoro. Una visione più ampia di quella di chi vuole costruire muri.

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