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Stallo a Strasburgo

Così gli alleati di Meloni bloccano il Patto sui migranti che serve all'Italia

David Carretta

Il Parlamento europeo ha sospeso i negoziati con il Consiglio per lo stallo tra i governi. Nord ed est formano una minoranza di blocco: a essere decisivi sono i governi nazionalisti di Polonia, Ungheria e Repubblica ceca 

Bruxelles. L’obiettivo di approvare entro la fine della legislatura il nuovo Patto su migrazione e asilo, che dovrebbe contribuire a superare le regole di Dublino e a rafforzare il controllo alle frontiere esterne dell’Unione europea, è di nuovo messo in discussione, dopo che il Parlamento europeo ha sospeso i negoziati con il Consiglio per lo stallo tra i governi su un provvedimento che dovrebbe aiutare i paesi in prima linea in caso di afflusso massiccio. La colpa? Si è formata una strana alleanza tra gli stati membri del nord, guidati dalla Germania, che non vogliono allentare la responsabilità in caso di crisi, e quelli dell’est, guidati dalla Polonia, che chiedono di disapplicare i loro obblighi di protezione internazionale quando i migranti vengono usati come arma da paesi terzi. Nord ed est formano una minoranza di blocco, che impedisce l’approvazione a maggioranza qualificata. Ancora una volta, a essere decisivi sono i governi nazionalisti del gruppo di Visegrad, gli alleati formali o naturali di Giorgia Meloni, che per difendere i loro interessi minano quelli dell’Italia. Era già accaduto in giugno, quando il Consiglio aveva approvato a maggioranza il principio della solidarietà obbligatoria sotto forma di ricollocamenti di richiedenti asilo o contributi finanziari. L’opposizione di Polonia, Ungheria e Repubblica ceca a ogni forma di solidarietà rimane la più grave minaccia per il nuovo Patto migratorio.

“Gli sforzi della presidenza (spagnola) per raggiungere un mandato negoziale del Consiglio sul regolamento sulle crisi sono in fase di stallo”, ha detto oggi la negoziatrice del Parlamento europeo, Elena Yoncheva. Secondo i deputati, il nuovo Patto può essere approvato “solo se vengono affrontati tutti gli aspetti di questa riforma, anche per quanto riguarda la solidarietà e l’equa condivisione di responsabilità tra gli stati membri”. Ciascun regolamento fa parte di un pacchetto nel quale quasi tutti i provvedimenti sono collegati. Occorre anche preservare un equilibrio tra responsabilità dei paesi di primo ingresso e solidarietà da parte degli altri stati membri. Per questa ragione – ha spiegato Yoncheva – il Parlamento ha preso la “decisione di sospendere i negoziati con il Consiglio sui regolamenti Eurodac e sullo screening”, fino a quando i governi non avranno sbloccato il regolamento sulle crisi. I regolamenti Eurodac e screening rafforzano gli obblighi dei paesi di primo ingresso su identificazione, registrazione e uso delle banche dati per reprimere i movimenti secondari verso altri stati membri. Il regolamento sulle crisi stabilisce i meccanismi per sostenere i paesi di primo ingresso, comprese deroghe alle regole più stringenti, in caso di pressione migratoria straordinaria.

Le motivazioni del fronte del nord e di quello dell’est sul regolamento sulle crisi sono diverse. Germania e Paesi Bassi sono contrari a deroghe che potrebbero favorire i movimenti secondari. Il gruppo di Visegrad e i paesi Baltici vorrebbero affrancarsi dagli obblighi sulla protezione internazionale (e fare respingimenti) in caso di strumentalizzazione dei migranti da parte di un paese ostile, come accaduto con la Bielorussia. Un primo testo di compromesso presentato dalla presidenza spagnola del Consiglio dell’Ue a fine luglio non aveva permesso di sbloccare lo stallo. La pausa estiva sarebbe dovuta servire a rilanciare i negoziati. Al ritorno dalle vacanze “non è cambiato nulla”, spiega al Foglio un diplomatico. La decisione del Parlamento europeo serve a mettere pressione sui governi. Secondo il diplomatico, la situazione a Lampedusa potrebbe favorire una soluzione, in particolare se convincerà Germania e Paesi Bassi ad avere un atteggiamento più costruttivo sul regolamento sulle crisi. I ministri dell’Interno dovrebbero discuterne al Consiglio Giustizia e Affari interni il 28 settembre, quando parleranno anche dagli sbarchi a Lampedusa e del piano d’azione presentato dalla Commissione.  

Il braccio di ferro avviato dal Parlamento europeo è indicativo di quanto sarà difficile approvare tutti i provvedimenti del Patto della fine della legislatura. I deputati insistono per più solidarietà e, se ci saranno troppe concessioni al Parlamento europeo, alcuni governi potrebbero rinnegare le intese raggiunte al Consiglio. L’Ue attribuisce un potere taumaturgico eccessivo a questo nuovo Patto che rafforza l’approccio “Europa fortezza”. Ma questo episodio dimostra, per l’ennesima volta, che la più grave minaccia per gli interessi dell’Italia sono gli alleati di Meloni.