La Conferenza di Roma

Ecco come prende forma il "piano Mattei" di Meloni

Il contenuto del documento finale della riunione dei paesi Mediterranei a Roma

Sergio Soave

Si tratta di un programma ambizioso che punta a uno sviluppo delle aree africane e mediorientali nelle quali ha origine il fenomeno migratorio che consenta di limitarne la portata e a una repressione anche internazionale delle organizzazioni per la tratta dei migranti clandestini

La conferenza sulle migrazioni si conclude con la discussione di un documento che lancia il “processo di Roma”, che è la forma definitiva assunta dal piano Mattei su cui è impegnato il governo italiano. Si tratta di un programma ambizioso che punta a uno sviluppo delle aree africane e mediorientali nelle quali ha origine il fenomeno migratorio che consenta di limitarne la portata e a una repressione anche internazionale delle organizzazioni per la tratta dei migranti clandestini. Il dato più interessante è il riconoscimento del carattere strutturale e non emergenziale del fenomeno migratorio, determinato dalle tensioni e dai conflitti locali, ma anche dall’esplosione demografica africana contemporanea a una serie di ragioni, climatiche, economiche, ma anche di debolezza delle strutture statali e della stratificazione sociale che ne ostacolano lo sviluppo. L’altro dato rilevante è la volontà di affrontare i problemi sulla base di un rispetto delle autorità e delle strutture istituzionali che debbono dialogare su un piede di parità. Si tratta di superare ogni timore di un carattere in qualche modo imperialistico o post colonialistico, anche per contrastare la propagandai soprattutto russa e cinese che puntano rinfocolare le tensioni anticoloniali per escludere l’occidente  e sostituirlo nel dominio di queste aree.

Il progetto è di ampia portata  e richiederà l’adesione anche di paesi che per ora non hanno partecipato alla conferenza, a cominciare dalla Francia, che ha visto fallire il suo interventismo post coloniale e che ora è alle prese con una forte difficoltà di integrazione degli immigrati di seconda e di terza generazione, mantre l’assenza della Spagna è giustificato dalla coincidenza con la giornata elettorale, ma dovrà essere recuperata con il nuovo governo che si insedierà a Madrid. L’altro elemento che va sottolineato è la coscienza che un progetto di questa portata, oltre ad aver bisogno dell’adesione di una platea di paesi più ampia, ha una prospettiva temporale assai ampia, e che quindi non può essere considerata una risposta ai problemi quotidiani posti dall’immigrazione irregolare. C’è così un certo squilibrio tra la parte del documento che tratta degli impegni per lo sviluppo, dei quali si tratteggiano gli obiettivi generali e il quadro di riferimento politico, economico e civile (compreso il rispetto dei diritti umani, in realtà assai poco considerati da molti regimi africani e mediorientali), e il modo più particolareggiato con cui si descrivono gli impegni comuni per la repressione della tratta degli immigrati clandestini. Basta leggere il modo in chi viene descritto l’impegno per lo sviluppo: “Condividendo lo spirito, le finalità e l'approccio del “Processo di Roma”, i partecipanti invitano le Organizzazioni Internazionali e le Istituzioni Finanziarie Internazionali, nel rispetto degli statuti e dei regolamenti che ne disciplinano l'attività, a valutare le forme più opportune di sostegno finanziario ai Paesi di origine e di transito per la realizzazione delle suddette iniziative e progetti di cooperazione”. Solo l’impegno finale a stanziare risorse per realizzarlo conferisce un minimo di concretezza a questo capitolo essenziale.

Sulla repressione della tratta invece si punta a accordi più stringenti: “rafforzare le misure per prevenire e frenare i flussi migratori irregolari prevenendo al contempo la perdita di vite umane, anche attraverso accordi bilaterali o multilaterali per combattere efficacemente il traffico di migranti via terra e via mare. In particolare smaltimento a terra di imbarcazioni improvvisate e non idonee alla navigazione; recupero o smaltimento di navi utilizzate per la migrazione irregolare; bloccare le forniture di imbarcazioni non sicure o destinate ad essere utilizzate per scopi non sicuri; rafforzare la cooperazione tra dogane e autorità di frontiera”. Obiettivi, questi, che per il fatto di essere più precisi non diventano automaticamente più facilmente raggiungibili. Comunque, pur con tutti gli squilibri e le difficoltà, si fornisce un quadro di riferimento più realistico per un confronto in cui l’Italia aspira legittimamente a esercitare una funzione rilevante.