Le voci di Giorgia

Attraverso Tajani Meloni bacchetta Salvini. Ma con Fazzolari lo insegue

Gianluca De Rosa

Davanti alle sparate di Salvini in vista delle europee, la presidente del Consiglio si fa in due. Ma il gioco quanto può andare avanti?

Giorgia-Fazzolari o Giorgia-Tajani, aspirante statista? Con che voce parla la presidente del Consiglio Meloni? Con quella assertiva e leggermente complottista del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari o con quella sobria e lungimirante del suo vicepremier forzista? La domanda appare ormai ineludibile. E la risposta è che parla con entrambe le voci. All’unisono.  Incalzata dal vicepremier leghista Matteo Salvini, pronto a lucrare sulla crisi migratoria tutto il consenso perduto in vista delle europee, Meloni si trova come quei personaggi posseduti dei film, che si tengono la testa, frastornati, e cambiano la voce a seconda della personalità che in quel momento vince temporaneamente la battaglia per il controllo del corpo.

 

Le voci principali, lo abbiamo detto, sono due: quella dell’altro vicepresidente, Antonio Tajani e quella del fido Fazzolari. Uno è tutto sabotaggi, manine, omini della Cia, commissari italiani infedeli, e spectre di Bankitalia. L’altro è critico nei confronti del populismo elettoralista, invita a evitare sparate, fa da argine a Salvini. Al primo infatti Meloni ha affidato il compito di bacchettare il vicepremier leghista che aveva dichiarato fallita la strategia diplomatica del governo sull’immigrazione invocando il pugno duro: “La via diplomatica è l’unica possibile. Stiamo attenti agli slogan, che non portano risultati”, diceva ieri Tajani intervistato da ben tre giornali (Corriere, Repubblica e  Stampa). “Puoi fare anche centri di trattenimento, ma senza gli accordi non risolviamo il problema”. Al secondo invece Meloni, a inizio mese, ha affidato il coordinamento della comunicazione politica di Palazzo Chigi, proprio in vista delle europee. Ne è uscita subito la lunga polemica con Bruxelles e  il commissario Pd (“traditore della Nazione”) Paolo Gentiloni. E d’altronde Fazzolari serve a questo: a tener botta a Salvini nel suo stesso campo da gioco. Non sembra un caso che la  norma sulla tassazione degli extra-profitti delle banche, tanto contestata proprio da Tajani, sia nata sull’asse Fazzolari-Salvini. “Questo è l’unico governo che ha la forza di tassare le banche perché non ha rapporti privilegiati col sistema bancario”, per citare il Fazzo.

 

Tajani  ieri preparava il terreno per il discorso che Meloni terrà oggi a Washington. “Il pugno duro è utile a fermare i trafficanti, ma per risolvere il problema in modo strutturale serve una visione strategica. La premier all’Onu farà un intervento mirato”. Insomma, sguardo lungo davanti a un problema “complesso ed epocale”. Al contrario, in sella al cannone delle bordate populiste, Fazzolari per rintuzzare Salvini dichiarava due giorni fa che “il blocco navale è l’unica soluzione”. Emerge quanto mai evidente oggi perché lo scorso ottobre, appena vinte le elezioni, Meloni aveva messo un solo veto agli alleati: Salvini non deve andare al Viminale. Alla fine la scelta è finita su quello che fu il capo di gabinetto del leghista ai tempi del governo gialloverde, il prefetto Matteo Piantedosi. Anche lui dalle colonne del Corriere ha cercato di placare il suo ex ministro: “Sono situazioni e momenti in cui si misura la responsabilità. Da parte di tutti e senza fare miopi calcoli politici”. E d’altronde fino a qualche settimana fa l’impalcatura di contenimento del segretario leghista aveva retto: Salvini sognava ponti sullo Stretto, inaugurava cantieri e finanziava metropolitane. Ma, all’improvviso, l’ingranaggio s’è rotto. L’avvicinarsi delle elezioni europee in concomitanza fatale con l’impennata dei flussi migratori ha creato una tempesta perfetta. Il leghista, dismesso il caschetto antinfortunio, è tornato il Capitano di una volta. E sul suo tema preferito: l’immigrazione. Allude a complotti stranieri, invoca la Marina militare e invita Marine Le Pen a Pontida per ricordare come: “Matteo sì che ha saputo affrontare il problema”. L’equilibrio, insomma, è precaro, anche perché alle elezioni mancano dieci mesi. Rischiano di essere mesi logoranti. Meloni sogna di poter mantenere il profilo della politica illuminata, che firma accordi e mobilita l’Europa. Ma sa quanto può perdere davanti a una crisi che, tra disastri alimentari, cambiamenti climatici e colpi di stato, non ha soluzioni chiavi in mano. Si appoggia a von der Leyen, la presidente della Commissione Ue, per mostrare una risposta ferma (ma fumosa) dell’Europa per non lasciare spazio all’alleato. “La risposta della Ue è quella del governo”. Ma è difficile. E quindi a volte alla premier s’incrina la voce, le parole prendono un tono cupo. Ed ecco che a Tajani cede di nuovo il passo  Fazzolari. C’è un film del 1996, “Schegge di paura” di Gregory Hoblit, in cui Edward Norton interpreta uno schizofrenico: è Aaron timido chierichetto balbuziente, ma anche Roy, non balbetta affatto ed è capace di uccidere un vescovo con 80 coltellate. La pellicola si apre con un monito: “Prima o poi un uomo che indossa due facce dimentica qual è quella vera”. Qui non c’è niente di tragico, ovviamente. Ma  Meloni sceglierà in tempo la sua?