L'editoriale dell'elefantino

De Luca a Caivano tira fuori il tratto popolare e intellettuale che manca alla politica

Giuliano Ferrara

Non servono i blitz, le intemerate di un momento. Non servono le storie vere e miserabili che offrono un modello luccicante ai ragazzi di strada. Meglio prendersi un caffè in solitario in un bar di Caivano

Che cosa testimoniano i video di Vincenzo De Luca? Con un’espressione facciale solida, un fare diretto, il sorriso sornione, di volta in volta l’ultimo politico in servizio che illustri una notevole tradizione repubblicana dice come la pensa e che cosa fa o vuol fare in una lingua politica chiara, spesso beffarda e urtante, pedagogica ma non saccente, priva di quella leggerezza così di moda nel mondo incantato del luogocomunismo. Servono repressione, stazioni dei Carabinieri affollate e pattugliamenti vigili giorno e notte, telecamere di sicurezza permanenti per ogni dove, interventi sociali di integrazione e inclusione nella scuola e nello sport, e aggiunge che bisogna smetterla di glorificare gli stili di vita camorristi, con il loro effetto di virilismo dominante, nei film, nelle serie e nel bla bla di un’informazione mediatica impazzita. Non servono i blitz, le intemerate di un momento. Non servono le storie vere e miserabili che offrono un modello luccicante ai ragazzi di strada. Meglio prendersi un caffè in solitario in un bar di Caivano, piuttosto.

 

Lo stesso su altri temi. La vicenda del San Carlo è una pulcinellata. Le mascherine intanto bisogna tenersele in tasca, e indossarle quando serve sapendo che spesso imbelliscono. Su tutto, e contro tutti, almeno nel suo porsi, De Luca offre la sua versione scorretta, scorrettamente, ispirata a ciò che può sembrare mero buon senso. 

 

In realtà, della tradizione repubblicana, del tenore civile dell’Italia dei partiti, da anni soffocata dalla dilapidazione dell’ovvio, del conformismo, e delle mode più effimere, De Luca trattiene il succo principale, che non è morale ma politico, una certa ansia di conoscenza, di realismo, di adeguamento dell’intelletto e della cosa. Non è solo buon senso, è un occhio disciplinato che sa vedere attraverso la lente della storia, di una sociologia severa, di un’esperienza radicata nella società e non nei formulari accademici. Distanti per le posizioni politiche, divaricati nelle scelte strategiche, liberali e illiberali, bacchettoni e libertini, ascetici e malandrini, brillanti e noiosi, i capi dell’Italia che non c’è più erano così, erano assimilati tra loro da un umanesimo spesso dozzinale, qualche volta corrivo e furbetto, che puntava tutto sul sapere per deliberare e fare. 

 

Dietro i video di De Luca, un genere di successo, che colpisce anche chi non ami la sua personalità che sa essere scomposta e a suo modo viziosa, intrisa di una forte ambizione di potere come missione assoluta, c’è molto più che una gavetta o una carriera tenace e variegata di amministratore e di leader popolare cresciuto a pane e politica. Qualunque cosa faccia, anche quando sbaglia o s’imbroglia nelle curve di una frenetica attività pubblica, don Vicienzo tira fuori, dalla sua poderosa e irriverente alterigia, il tratto popolare e intellettuale che manca alla politica leggera, ondivaga, e ai suoi cerimonieri. Sta nel mercato del consenso anche lui, ci mancherebbe, e con buoni risultati finora, ma baratta il solido con il solido, procede a strappi graduali su una linea costante, su un retroterra istituzionale che non si limita all’ammiccamento.

 

Può succedere che un tipo così, così inusuale per gli standard contemporanei, ma irresistibile per certi versi nel suo ghigno di stato, ostile al neotribalismo andante di cui parla Panebianco, abbia un destino politico nazionale importante e utile alla Patria. Comunque sia chi governa e chi si oppone, chi fa parte del sistema evanescente del nostro presente culturale e politico, dovrebbe esaminare con mente e cuore semplici la performance di De Luca. C’è molto da imparare, amici e avversari.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.