(foto Ansa)

Il colloquio

Il pasticciaccio Libia-Ue-Italia sul caso di Nicola Orlando. Parla Sergio Romano

Marianna Rizzini

"Se una nomina è europea non è questione di Italia o di Francia. Dopodiché si può ragionare sull’eventuale espressione di stima, da parte italiana, per un connazionale, diplomatico di rango", dice l'ex diplomatico

Non è un intrigo internazionale, ma del pasticciaccio internazionale ha assunto, malgrado le intenzioni, le sembianze. Non pare neanche del tutto un pasticciaccio, a vederlo dalla fine e dalla versione ufficiale delle parti in commedia, ché l’equivoco, a un certo punto, è sembrato mischiarsi alla surrealtà, trattandosi di mondi diplomatici tradizionalmente considerati regno della non-approssimazione. Antefatto: in un giorno di fine estate giunge ufficiosamente voce  (a questo giornale) che al diplomatico italiano Nicola Orlando, nominato ambasciatore Ue a Tripoli, previo concorso internazionale, dall’Alto rappresentante dell’Unione Josep Borrell, è stato negato il gradimento da parte dal governo di Unità nazionale libico di Abdulhamid Dabaiba, sostenuto dall’Italia.

 

Epilogo: sul nome di Orlando è infine giunto, sì, due giorni fa, il gradimento tardivo, ma non prima di un lungo, misterioso stallo e della designazione, in alternativa, di un diplomatico francese. Un atto insolito, e insolito al punto che anche gli esperti faticano a trovare precedenti (“non mi risultano”, dice al Foglio l’ambasciatore, storico ed editorialista Sergio Romano). Un atto che poteva (doveva?) apparire uno schiaffo agli occhi del governo sovranista di Giorgia Meloni, e che è sembrato uno sgarbo non difeso ad alcuni colleghi di Orlando e a una parte dell’opposizione italiana (della serie: Farnesina, dove sei?). E insomma: il gradimento della Libia a Orlando è infine arrivato, ma passando per un interludio in cui era stata diffusa la notizia, non smentita né confermata, della designazione del francese Patrick Simonnet per la carica per cui era stato nominato Orlando, primo classificato al concorso europeo in cui Simonnet risultava secondo in graduatoria. Ma perché a Orlando è stato negato il gradimento poi concesso? E’ quello che volevano sapere anche i diretti interessati, nelle sacche della mancanza di chiarezza. E perché, in Italia, il silenzio è regnato a lungo, visto il curriculum di Orlando, già diplomatico a Riad, in Afghanistan e a Tel Aviv, e già ambasciatore in Kosovo, poi designato dall’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio inviato speciale italiano a Tripoli? E se, in Italia, quest’ultima circostanza ha acceso i fari sulle correnti anti-dimaiane all’interno della Farnesina, Sergio Romano invita a mettere il fatto nella giusta cornice: “Se vogliamo valorizzare l’Unione Europea, se crediamo nell’Europa, poi dobbiamo essere consapevoli che, se una nomina è europea, non è questione di Italia o di Francia, anzi sarebbe grave se lo fosse, ma è una questione europea, appunto. Il diplomatico, se è designato dall’Europa, non si reca in un paese come rappresentante di questo o di quel paese. Dopodiché si può ragionare sull’eventuale espressione di stima, da parte italiana, per un connazionale, diplomatico di rango”.

 

Tant’è: l’Europa dovrà occuparsi dei ricaschi del caso e la poltrona per due tornerà a essere per uno (l’Orlando inizialmente nominato). Intanto la Libia, tramite l’ambasciatore a Roma Muhannad Younes, ha fatto luce su quelli che per Tripoli sono i motivi dell’originario diniego, poi ribaltatosi in gradimento tardivo, comunicando al suo governo che le informazioni di cui la Libia disponeva su Orlando non erano fondate. Quali? Ufficiosamente trapela l’errata convinzione di una presunta vicinanza di Orlando all’est della Libia, quello di Khalifa Haftar. Tutto risolto? A Bruxelles l’ardua sentenza. Sullo sfondo restano le periclitanti ambizioni italiane in Africa (sogno di un Piano Mattei), messe a dura prova non soltanto dal caso Orlando (vedi incidente diplomatico tra libici e israeliani, con Roma come scena del delitto).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.