politica estera

Com'è nata la disfatta diplomatica di Meloni e Tajani in Libia

Valerio Valentini

Lo scaricabarile tra Farnesina, Palazzo Chigi e servizi sul caso di Nicola Orlando, che era stato indicato come nuovo ambasciatore Ue a Tripoli ma che non è gradito al governo di Dabaiba

 L’indolenza è durata fin oltre l’immaginabile. Fino a che, cioè, gli eventi non sono precipitati, dalla Farnesina nessuno ha ritenuto opportuno neppure spiegare ai diretti interessati il perché del fattaccio. “Stiamo provvedendo proprio ora”, spiegavano dagli uffici di Antonio Tajani, ieri mattina, ai funzionari indispettiti che domandavano ai vertici del ministero se davvero corrispondesse al vero che Nicola Orlando ancora non fosse stato messo al corrente del perché della sua bocciatura. Lui che aveva vinto il concorso europeo, e che da Josep Borrell era stato designato ambasciatore dell’Ue in Libia, e che s’era poi visto negare il gradimento dal governo Dabaiba, senza che nessuno a Roma ritenesse doveroso contestare lo sfregio da parte di Tripoli. 

Prima insomma che il Foglio ne desse notizia, che il pastrocchio stesse maturando, all’ambasciata di Tripoli avevano dovuto intuirlo dagli  indizi. Comunicazioni differenziate, inviti selettivi, fino ad arrivare alla visita del premier  Dabaiba, il 7 giugno. Allora il governo di unità nazionale libico aveva già anticipato, in via informale, la propria contrarietà verso la nomina di Orlando. E a tutti era parsa un’enormità tale – non solo perché all’Italia Dabaiba deve molto, ma anche perché quella del diplomatico trevigiano era una designazione europea, arrivata al termine di una selezione comunitaria – che ci si aspettava che proprio in quell’occasione, tra i molti delicatissimi dossier trattati, Giorgia Meloni avrebbe accennato anche alla questione dell’ambasciatore dell’Ue. E invece le strane procedure del cerimoniale – con dei pass negati a Orlando – avevano confermato i sospetti, e insieme ai sospetti anche la patriottica remissività dei sovranisti di governo.

 Se dunque chi il fattaccio l’ha subìto ha potuto avere solo a cose fatte uno straccio di spiegazione, figurarsi chi, dall’esterno, prova ora a ricostruire la vicenda. Alla Farnesina ammettono che sì, lo smacco è innegabile. Ma spiegano pure che, essendo tanti i fronti aperti in Libia, e tanti soprattutto quelli che vanno gestiti tenendo conto anche delle mosse – non sempre amichevoli – dei francesi,  si è dovuto stabilire “una scala delle priorità”. E lo si è fatto d’intesa con Palazzo Chigi, che sapeva, non senza un consulto anche coi vertici dell’intelligence. E dunque s’è convenuto che Orlando fosse sacrificabile. Con buona pace dei tanti diplomatici italiani in giro per il mondo che confidano nel fatto che, di fronte a un eventuale affronto da parte di un governo straniero, il loro ministro, il loro presidente del Consiglio, insomma il loro paese, possa in qualche modo proteggerli. E così dell’arrendevolezza italiana sarà ora proprio Parigi, a trarre vantaggio: il secondo nella graduatoria di Borrell è un francese, e dunque ora sarà lui, Patrick Simonnet, il nuovo ambasciatore dell’Ue in Libia. 

E si capisce, quindi, che ce n’è abbastanza per fare di questa disfatta diplomatica un caso politico. Il Pd depositerà un’interrogazione parlamentare per chiedere a Tajani di riferire in Aula. Il Terzo polo valuta mosse analoghe. Insieme all’interpellanza già annunciata da Verdi e Sinistra italiana sull’altro pasticcio diplomatico avvenuto a Roma, quello sull’incontro dei ministri degli Esteri libico e israeliano risoltosi in un trambusto internazionale, sarà una ripresa dei lavori assai intensa, per il ministro degli Esteri.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.