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Intervista

“La Bossi-Fini va salvata”. Il sottosegretario Molteni risponde a Tajani e Piantedosi

Luca Roberto

Contrasto all'immigrazione irregolare e gestione dei flussi, questi i due punti che il deputato e sottosegretario leghista ribadisce dopo le aperture di FdI e FI a una revisione della legge bandiera del Carroccio

“I principi della Bossi-Fini non sono negoziabili. Altrimenti, se viene messo in discussione il reato di immigrazione clandestina, rischiamo di fare la fine della Francia. Spalancando le porte a quello che chiede da anni la sinistra: il permesso provvisorio per motivi di lavoro”. Il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni è categorico nel rispondere al ministro degli Esteri Antonio Tajani. Che ieri al Foglio aveva detto: “Sì, la Bossi-Fini si può cambiare”. Ma anche al suo ministro, Matteo Piantedosi, secondo cui “la Bossi- Fini si è rivelata inefficace”. Ecco allora che il richiamo all’ordine dell’esponente della Lega sortisca un certo effetto. Anche perché la deputata di FdI Sara Kelany, molto attiva sul tema immigrazione, sempre al Foglio dice: “La Bossi-Fini non è un totem. E’ una legge che ha ormai vent’anni, dunque una revisione non è fuori dalle ipotesi”.

 

Secondo il sottosegretario Molteni, del resto, “i due pilastri della politica migratoria di questo governo sono: il contrasto all’immigrazione irregolare, attraverso uno sguardo alla dimensione esterna. E la gestione dei flussi regolari, per poter scegliere il tipo d’immigrazione che si vuole: ovvero quella qualificata”. E’ per questo che secondo l’esponente del Carroccio “il Memorandum con la Tunisia è un accordo importante, che può essere una svolta e fare da modello per le intese con i  paesi terzi, in tema di cooperazione, crescita, sviluppo economico e culturale”. Anche perché “dopo anni di distrazione finalmente l’Unione europea si è accorta, grazie al lavoro del governo italiano, che non ci si può semplicemente occupare di redistribuire clandestini. Bisogna lavorare sulle condizioni per fermare le partenze, per rafforzare i rimpatri. E dalla Tunisia oramai arrivano la gran parte dei migranti che sbarcano sulle coste italiane”. Certo, come aggiunge ancora Molteni, “è un punto di partenza, non di arrivo”. 

 

Ma ha visto che la segretaria del Pd ha già criticato l’accordo, puntando il dito contro l’esternalizzazione delle frontiere? “Fa sorridere perché la sinistra sembra vivere in una contraddizione eterna”, ribatte il numero due del Viminale. “Dimenticano che questo tipo di memorandum li ha fatti Marco Minniti, che è stato un ottimo ministro dell’Interno. Chi critica non capisce che l’unico modo per salvare vite in mare è bloccare le partenze. Anche con il coinvolgimento di istituzioni internazionali come l’Unhcr. Sapendo che la gestione delle frontiere la fanno gli stati, non le ong”.

 

Nel Veneto leghista il presidente Luca Zaia ha approntato un modello di accoglienza diffusa. Lo condivide? “Anzitutto mi permetta di dire che Zaia è una grande governatore, di cui siamo fieri. Ha solo posto il tema della condivisione delle scelte in tema di accoglienza, che non possono passare sopra la testa degli amministratori. Personalmente non sono un tifoso dell’accoglienza diffusa, perché credo possa funzionare solo con piccoli numeri. Preferisco passare dagli ingressi legali: del resto siamo il governo che ha alzato le quote nei settori dove c’era una richiesta più alta, fino a 450 mile ingressi nei prossimi anni. Semplificando le procedure di ingresso dai cosiddetti paesi sicuri. E tornando protagonisti nel Mediterraneo”. 

 

Insomma, nonostante anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi abbia detto che “si è rivelata una legge inefficace”, possiamo ribadirlo: la Bossi-Fini non si tocca? “Non nei suoi fondamenti, che prevedono che entri in Italia solo chi ha diritto, con un regolare permesso di soggiorno. Poi, certo, sono passati più di vent’anni da quando è nata, diverse norme in materia di immigrazione a livello comunitario si sono stratificate. Possiamo arrivare a una semplificazione. Ma certo non ci possono essere stravolgimenti. Abbiamo visto cosa sta succedendo in Francia: emarginazione sociale, mancata integrazione. Ecco, non è quello il nostro modello e non è quello che ci chiedono i sindaci, di tutti gli schieramenti”.