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Uno non vale uno. Neanche a scuola. È ora di proteggere i docenti dalle lagne dei genitori

Claudio Cerasa

Ricorsi al tar. Violenze contro gli insegnanti. Plotoni di esecuzione su WhatsApp. I veri somari, in classe, non sono gli studenti ma i loro genitori

Ok: ma chi sono i veri somari? La storia che stiamo per raccontarvi forse la conoscete già. Ma dietro questa storia c’è qualcosa in più di un semplice ricorso. C’è la storia, o meglio il film, di un piccolo e quotidiano scandalo italiano. Uno scandalo che riguarda i nostri figli. Uno scandalo che riguarda noi genitori. Uno scandalo che riguarda le nostre scuole. Dove l’uno vale uno, che ha faticato ad affermarsi per fortuna in politica, è diventato un’ossessione quotidiana. Una quotidiana minaccia contro uno degli organi rappresentativi più importanti d’Italia: i nostri insegnanti.

Io, genitore, non valgo meno di un insegnante. Io, genitore, conosco mio figlio meglio di qualsiasi docente. Io, genitore, pretendo di essere protagonista della didattica della scuola. Uno vale uno. Ma chi sono i veri somari? Facciamo un passo indietro e partiamo dalla storia. Qualche giorno fa, il Tribunale amministrativo regionale di Trento ha accolto il ricorso di una studentessa del liceo scientifico Leonardo da Vinci che non era stata ammessa all’esame di maturità perché insufficiente in cinque materie. I commentatori, in questi giorni, si sono concentrati molto sul tema Tar, sul come sia possibile che un tribunale amministrativo possa sentirsi in dovere di intromettersi in questioni che non dovrebbero minimamente riguardarlo. Ma in pochi si sono invece concentrati su un fatto molto più grave: cosa diavolo può spingere i genitori di uno studente a convincersi di saperne più degli insegnanti?

Il tema è sempre quello: uno vale uno. Si dirà: ma è un caso isolato, di che stai parlando, non generalizzare, che vuoi che sia un ricorso al Tar. Sarebbe bello fosse così. Ma la cronaca quotidiana ci mostra purtroppo un mondo diverso. Un mondo dove l’autorità degli insegnanti, delle scuole, dei presidi è minacciata ogni giorno da orde di genitori desiderosi di aggredire uno dei princìpi non negoziabili di una democrazia: il potere della delega. E così si ricorre al Tar per tutto. Per poter fare l’esame nonostante cinque insufficienze (Trento, luglio 2023). Per protestare contro una bocciatura (un anno fa il Tar della Puglia ha considerato idoneo uno studente nonostante la bocciatura). Per poter accedere alla maturità (come successo anni fa a uno studente grazie al Tar abruzzese). Per poter ribaltare il proprio voto alla maturità (anni fa a Imperia una studentessa bocciata venne promossa grazie al Tar). O magari per poter migliorare i propri voti (nel 2020 a uno studente di un liceo di Rovereto il Tar ha offerto la possibilità di rivedere il 98/100 preso alla maturità, nel 2021 un altro Tar, quello pugliese, ha concesso a uno studente di prendere la lode che gli era stata negata dalla scuola). La prevaricazione dei genitori sugli insegnanti non è un tema che riguarda solo la triangolazione delle mamme e dei papà con i tribunali amministrativi ma è qualcosa che riguarda un tema decisamente più grande che da tempo arricchisce le cronache dei giornali locali. In un liceo di Bari, alla fine dello scorso anno, il padre di una studentessa è entrato in classe durante una lezione per rimproverare un docente, che aveva messo 5 alla figlia nell’ultimo compito in classe, arrivando a sferrargli un pugno in faccia.

A Pisa, a giugno, due genitori sono entrati in una scuola per inveire contro gli insegnanti, colpevoli di aver bocciato il figlio: sono dovuti intervenire due poliziotti per riportare la calma. A Treviso, a luglio, i genitori di uno dei ragazzi che avevano colpito un’insegnante con una pistola ad aria compressa munita di pallini di plastica, ragazzi che in un primo momento non erano stati neppure puniti con un voto in condotta all’altezza delle loro bravate (avevano preso nove: roba da ricorrere al Tar), hanno minacciato di avviare una querela contro la docente per le parole eccessive usate dalla docente stessa nei confronti dei ragazzi. A luglio, a Piacenza, una docente di un istituto comprensivo ha denunciato un uomo e una donna, genitori di una studentessa, che durante l’orario di lezione si erano introdotti senza autorizzazione nell’edificio scolastico ed erano arrivati a minacciarla a seguito di un provvedimento preso contro una ragazza che usava il telefono cellulare durante una lezione. A Reggello, un comune in provincia di Firenze, alcuni genitori hanno addirittura creato un’associazione di educazione parentale e hanno chiesto che quella associazione fosse riconosciuta come scuola paritaria a tutti gli effetti: il sindaco ha revocato loro il contratto di concessione, i genitori hanno fatto ricorso al Tar. Gli esempi da fare potrebbero essere ancora molti, infiniti, ma l’elemento su cui vale la pena riflettere, da genitori, è uno ed è semplice: quando capiremo che proteggere la scuola dalla presenza ossessiva dei “genitori elicottero” – come da magnifica definizione di Foster W. Cline e Jim Fay, che nel libro  Parenting With Love and Logic: Teaching Children Responsibility hanno ben fotografato la dinamica di controllo e di protezione ossessiva dei genitori nelle scuole – non significa abbandonare i nostri figli al loro destino ma significa molto semplicemente insegnare loro a diffidare da un pericoloso virus della democrazia che coincide con l’idea che uno valga uno? Quando capiremo che il parere di un papà a scuola non vale più di quello di un docente? E quando capiremo che una decisione presa su WhatsApp dalle mamme non vale più di una decisione presa in consiglio di istituto da una preside? I risultati sconfortanti degli Invalsi ci hanno detto molto sugli studenti somari. Ma ancor di più, forse, ci hanno detto qualcosa sui genitori asini. Che non solo non si preoccupano di far studiare a casa i propri figli, aiutandoli, ma che ogni giorno, con il loro elicottero, cercano di fare qualcosa per deresponsabilizzare i propri ragazzi invitandoli a diffidare dei loro docenti, a diffidare della delega e a contrastare il senso di autorità. A colpi di Tar. A colpi di invettive. A colpi di plotoni di esecuzione organizzati su WhatsApp. Uno non vale uno. Non è così in politica. Non è così neppure a scuola. Chi sono i veri somari?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.