(foto Ansa)

Il sovranismo dei due mondi

Meloni tradisce Polonia, Ungheria, Ecr. Il futuro della mediatrice

Simone Canettieri

La premier a Bruxelles si separa da Varsavia e Budapest: sull'immigrazione gli amici Morawiecki e Orbán non ne vogliono sapere. Lei dissimula. Ma adesso per la leader dei Conservatori si apre una nuova fase

Bruxelles, dal nostro inviato. Vatti a fidare degli amici. Dieci e mezza di mattina. Ottavo piano del Palazzo Europa. Nel salotto della delegazione italiana va in scena un trilaterale in formato “zero”. Senza ambasciatori e consiglieri diplomatici in mezzo. Nessun testimone. Ci sono solo loro tre. Giorgia Meloni è seduta su una poltrona, con il busto proteso verso i due ospiti che si trovano sul divano: il nodoso Mateusz Morawiecki e Viktor Orbán, straripante anche nella prossemica. La premier parla in inglese. Li divide un basso tavolino (e non solo). Sopra al quale ci sono dei fogli. Quelli della mediazione impossibile. La proposta che non sarà accettata da Polonia e Ungheria. Loro, l’est di Visegrad da una parte; lei, l’occidente, da un’altra. E’ la prima volta. Tutto dura trenta minuti. Quanto basta per separare la leader dei Conservatori da Varsavia e Budapest: gli amici Mateusz e Viktor non ne vogliono sapere. Non sono disposti a votare con il resto dei 25 paesi della Ue le conclusioni sui migranti di questo Consiglio europeo. Il problema è la dimensione interna. Dunque l’accoglienza. Polonia e Ungheria ricevono già tanti ucraini in fuga dalla guerra, “anche chi scappa dall’Africa è eccessivo”. Meloni propone di alzare l’attuale quota di 200 euro a ucraino accolto. Incassa un doppio no.  Dietro a motivazioni pratiche c’è l’essenza del sovranismo. 

 

Meloni non parla con Orbán e Morawiecki solo perché fanno (o facevano?) parte della stessa parrocchia ed è la presidente dei Conservatori. Anche, certo. Ha il mandato largo del Charles Michel, presidente del Consiglio europeo. Come finirà si sa. Per via della mancata unanimità nelle conclusioni, l’immigrazione scompare: sia nella dimensione esterna, su cui sono tutti d’accordo, sia su quella interna. Il capitolo che scotta sarà sostituito da una dichiarazione di Michel. Non rimane che andare avanti con gli punti. L’Italia rivendica, sotto il capitolo delle relazioni esterne, l’impegno per la Tunisia, ma c’è anche l’attenzione alla demografia. E però l’elefante è nella stanza. Lei di qua, loro di là. Alle 14 tutto finisce. E Meloni parla nel doorstep, al piano terra del Palazzo che sta per lasciare con tutta la delegazione al seguito. Parla, prende tutte le domande. Si presenta davanti al “mischione” di microfoni e telecamere con le mani giunte roteando i pollici in maniera vorticosa. Ha il compito di difendere Polonia e Ungheria senza sminuire la sua scelta di campo. Dice che “non è delusa”. Che le motivazioni di chi si è opposto e ha bloccato le conclusioni “non sono peregrine”. Spiega – e i pollici smaltati di rosso vanno velocissimi – che non c’è niente di strano “nel difendere gli interessi nazionali”. Non rinnega, ma non restaura. “Finché noi cerchiamo soluzioni su come gestire i migranti quando arrivano sul territorio europeo non troveremo mai unanimità, bisogna partire dalla dimensione esterna”. E’ comunque uno scenario inedito. Non solo perché nelle pieghe di questo cortocircuito sovranista si consuma una collocazione diversa dell’Italia. Questo strappo scuote anche il Ppe, l’alleato a cui guarda la leader di Fratelli d’Italia con sempre maggiore attenzione. Fonti del partito Popolare provano a strapparla dal cono d’ombra dell’Ecr con dichiarazioni non proprio all’acqua di rose. La definiscono “incastrata”  con degli alleati Ue che “stanno distruggendo tutti i progressi che ha fatto in tema di migrazione”. E’ il vertice politicamente più delicato da quando Meloni guida il governo. “I problemi in casa sono il peggior tipo di problema”, commentano dal gruppo dei popolari alludendo alla mediazione tentata da Meloni con il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki con cui condivide la presenza in Ecr, il partito dei Conservatori e Riformisti europei. Proprio il primo ministro polacco la saluta con una dichiarazione che sa di sberleffo: “Auguro a Giorgia buona fortuna con questo patto sui migranti”.  Il liberale olandese Mark Rutte le viene incontr, le tira su il morale. E spiega che “non è la fine del mondo”. Perché, anche senza conclusioni, “tutto ciò che sta progredendo sui migranti al momento continuerà”.  Insomma, immaginare una scena simile qualche mese fa sarebbe stata fantascienza. Invece è tutto è vero. Ecco forse perché di mattina, lasciando l’Hotel Amigo dopo un incontro con Scholz e Macron, la presidente del Consiglio scherza: “Ma ci sono i Red Hot Chili Peppers e noi stiamo andando al Consiglio europeo?”.

 

Meloni durante il punto stampa dissimula, allarga il punto di vista, non presta mai il fianco a questa anomalia che si è appena consumata. E che apre scenari interessanti, o forse no, in vista delle Europee (prima ci sono le politiche in Polonia fra due mesi e mezzo). Può un leader conservatore, come quello polacco, andare contro l’indicazione della presidente della sua famiglia politica in virtù dell’interesse nazionale? Non è tutto un controsenso? “Assolutamente no. E comunque il mio lavoro di mediazione continua”, ribadisce Meloni che si è messa in testa di prendere per mano le “giovani democrazie dell’Est”, come ama chiamarle. Mercoledì sarà a Varsavia per un seminario dell’Ecr proprio in casa dell’amico che non l’ha ascoltata. La premier risponde all’ultima domanda di una giornalista inglese. Saluta e scatta verso sinistra, poi si ricorda che deve andare a destra. Il tacco della scarpa destra si piega. Prende una storta. Poi si rimette in equilibrio. Il senso della giornata è tutto qui, forse.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.