Campi variabili

Altro che Terzo polo, Calenda cerca il Pd. Il timore dei renziani

Gianluca De Rosa

Per Schlein è il riformista con cui parlare per ricostruire un campo alternativo alla destra, lui nega il riavvicinamento ai dem, ma in Italia viva c'è chi pensa che dietro lo strappo dei mesi scorsi ci sia una strategia

 Dove andrà Carlo Calenda? Per Elly Schlein è l’interlocutore potabile del Terzo polo, il capo dei riformisti con cui si può parlare, in prospettiva gamba destra di un nuovo campo largo con al centro il suo Pd (e a sinistra Conte e grillini). Durante il suo intervento di lunedì alla direzione dem, dove la segretaria si è difesa da chi ha contestato la sua partecipazione alla manifestazione del M5s contro la precarietà, lo ha detto con chiarezza: “Da soli non bastiamo, sentirò non solo Conte, ma anche Calenda”. E chissà che Azione non possa diventare persino una casa, un porto sicuro neanche così ostile, per traslocare quei riformisti del Pd che non condividono la svolta a sinistra. Un po’ come quelli che sognano la comune, ma, infine, optano per il condominio “così ognuno ha la sua cucina e il suo bagno”. Tutti insieme appassionatamente. Con una sola eccezione: il vituperato, l’innominabile ma nominatissimo Matteo Renzi, citato anche due giorni fa dalla segretaria: “Non credo Renzi sia il più adatto a dare lezioni di subalternità, dato che appena arrivato al Nazareno ci ha invitato Berlusconi per farci un patto”. Insomma, la convinzione sembra questa: se lo ha fatto una volta, può farlo di nuovo, Renzi guarda a destra (la dimostrazione che Schlein ha sottolineato in direzione è il supporto in Molise di Italia viva al candidato governatore del centrodestra).

La segretaria invece con Calenda potrebbe partire dai due temi proposti dal leader di Azione per una battaglia comune: salario minimo e transizione ecologica. Ma Calenda che vuole fare? Davvero ha intenzione, dopo la rottura con i renziani, di avvicinarsi di nuovo al Pd? Di farsi invece che terzo polo, terza gamba della sinistra italiana? Lui appena può nega.  A domanda esplicita, su Repubblica, ha risposto così: “No, nessun riavvicinamento, al Pd, ma dico che si può lavorare insieme su lavoro e sviluppo”. Tra i renziani c’è chi però è convintissimo che la vera ragione della rottura con Italia viva sia proprio questa. Altro che il 2 per mille, le tempistiche dello scioglimento dei partiti di provenienza, la paura della una “sòla” ordita da Renzi, dietro la rinuncia al partito unico ci sarebbe  l’intenzione di Calenda di tornare a guardare al Pd, abdicando alla terzietà centrista predicata per tanto tempo (le cose si fanno con chi ci sta, che sia di destra o di sinistra). Con un passaggio di Calenda a una posizione più simile a quella di +Europa che, pur condividendo l’impostazione riformista (si guarda ai temi non a chi li solleva) si colloca  comunque nel campo avverso a quello del governo Meloni, il campo del centrosinistra.

La prima occasione per capire meglio, nonostante la legge proporzionale,  comunque non è lontana: le elezioni europee del 2024. In ballo c’è la lista unitaria dei riformisti, fondamentale per superare lo sbarramento del 4 per cento e per rimpolpare il gruppo europeo dei liberali macroniani Renew Europe. “Noi – dice Raffaella Paita, renzianissima capogruppo del Terzo polo al Senato – lavoriamo per questo. Al Senato ci impegniamo sugli argomenti, senza pregiudizi. Siamo il più possibile centristi e riformisti, senza mai contraddirci per ragioni di schieramento. Calenda sceglierà cosa fare. Per me è ancora inspiegabile la rottura che ha voluto: non c’erano divisioni di carattere politico. Noi andiamo avanti con l’idea di una lista unitaria alle europee con tutti i riformisti che vorranno starci”.