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La direzione dem

Il Pd incalza Schlein su guerra e M5s: “Qui finiamo come Syriza”

Valerio Valentini

Le parole della leader nel discorso alla direzione nazionale non convincono. Alla fine la segretaria mette al voto solo i sette punti programmatici della sua "agenda" 

Sarà che a promettere “una riunione di segreteria a settimana” è lei che per due mesi, dopo la sua elezione a segretaria, è rimasta irreperibile perfino ai suoi collaboratori. Sarà che l’esortazione all’esercizio della “leadership collettiva” è proferita da chi la segreteria l’ha annunciata in diretta Instagram dalla camera di casa sua. Sarà forse che lo sdoganamento di Niccolò Fabi e Daniele Silvestri e Diodato a maestri del pensiero del Pd – una scelta, horribile dictu, quasi renziana – fa storcere subito il naso al notabilato vario dem. Sarà infine che nell’incertezza tra lo “stare scomodi per contrastare le destre” e il “mettetevi comodi perché il cambiamento è appena iniziato”, si finisce un po’ tutti col non capire com’è che si debba stare, di fronte a Elly Schlein. Sta di fatto che le parole della leader cadono un po’ come pietre sulla sabbia, senza eco né risonanza. Senza fare “rumore”, per restare a Diodato. Per cui la direzione del Pd si sviluppa quasi come se il discorso di Schlein, i suoi chiarimenti, perfino le sue stoccate, nessuno li sentisse davvero. Anche quando vorrebbe rassicurare – specie allora, anzi – sul rapporto col grillismo e le titubanze sulla guerra (“Non siamo affatto d’accordo su tutto, col M5s. Sull’Ucraina permangono distanze enormi”) la segretaria pare afona, forse perfino malgré soi. E forse è per questo, per evitare dissezioni, che Schlein decide di mettere ai voti non la relazione completa, ma i sette punti programmatici della sua 'agenda'. Tecnicismo che dice di un certo affanno.

E fatalmente è su quel nodo, su quella ambiguità, che s’avvita il dibattito. Allora eccolo, Stefano Bonaccini, nella duplica veste di presidente di partito (all’esordio) e di deuteragonista (poco convinto, prima ancora che poco convincente) dire che certo, “io non ho nulla in contrario a partecipare alle manifestazioni degli altri”, anche perché “le coalizioni sono importanti, se non vogliamo essere minoritari”: e però “dobbiamo essere noi a prendere l’iniziativa, non andare a rimorchio di altri”. Evocato qui, Giuseppe Conte, resterà l’innominato spettro di tutta la discussione. Lui e il suo malinteso “pacifismo”. Su questo incalza anche Alessandro Alfieri, responsabile Riforme e Pnrr del Nazareno in quota bonacciniana. “Capisco che era utile mandare una delegazione alla manifestazione del M5s. Comprendo meno la necessità di esporre la segretaria alle contraddizioni di quella piazza”, dice il senatore. Che si concentra sulla propaganda anti ucraina esibita dal palco grillino. “Mi conforta sapere che sulla guerra il Pd non cambia posizione. Dico però che anche i nostri atteggiamenti fuori dall’Aula devono essere conseguenti alle votazioni che facciamo in Parlamento”. Tocca quindi a Pina Picierno, vicepresidente Parlamento europeo e già spalla di Bonaccini, suonare le stesse note: “Troppo spesso sento i nostri dirigenti dire che noi sosteniamo l’Ucraina ma cerchiamo la pace. Il punto è che sostenere l’Ucraina è cercare la pace”. 

Il compito del difensore della linea geopolitica se lo assume quindi Peppe Provenzano: “Sull’Ucraina restiamo coerenti. Le parole di Moni Ovadia mi hanno fatto orrore”. Il tutto, incistato in un ragionamento che sembra quasi indurre i critici a non pretendere troppo, vista l’aria che tira. “Se guardiamo all’Europa, va detto che noi progressisti navighiamo controvento”. Ma è proprio alla luce delle incognite mondiali che Lorenzo Guerini suggerisce di essere rigorosi col M5s. “Sul trumpismo in rimonta, ad esempio, e in vista delle elezioni americane, c’è ancora un che d’irrisolto nel M5s: e lo dico per evidenziare quali contraddizioni nel rapporto coi 5s dobbiamo affrontare per costruire un campo alternativo alla destra”. Lo stesso, ovviamente, vale per i balbettii su Kyiv: “E invece quella è una questione dirimente – prosegue Guerini – perché la guerra all’Ucraina sta cambiando la storia”. 

Quella di Schlein, invece, è una storia che guarda per ora all’estate che verrà. “Estate militante”, come dice lei. La festa dell’Unità trasferita nella Ravenna alluvionata, l’imperativo di allestire dei dibattiti che non siano tra soli uomini, e poi la battaglia, giusta, per trasformare il Pnrr in un tema popolare, e su quello pungolare Giorgia Meloni, così come sul tema dei salari e della sanità pubblica. Con la speranza, però, che lo scenario paventato da Lia Quartapelle all’uscita dal Nazareno non prenda davvero consistenza: “Ché a seguire la linea di Syriza, si finisce col fare la fine di Syriza”. Che forse a tanti nuovi dirigenti del Pd non dispiacerebbe neppure. Se non fosse che significherebbe condannarsi a perdere pure al prossimo giro.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.