(foto LaPresse)

l'intervista

Rotondi: "Dopo il Cav. è Meloni che deve ridisegnare il centrodestra. Può fare la nuova Dc"

Luca Roberto

L'ex forzista e democristiano: "Il grande centro? Forza Italia non perderà pezzi a favore del Terzo polo. Ora alla premier toccherà prendersi cura della coalizione se non vuole calare nel consenso"

La morte di Silvio Berlusconi ha scoperchiato praterie per il cosiddetto centro? A sentire l’onorevole Gianfranco Rotondi, non si direbbe affatto. “Perché il centro oramai è Giorgia Meloni, altrimenti non ci arrivi al 30 per cento. La vera nuova Democrazia cristiana la può fare solo lei, di certo non Renzi o io stesso. E però adesso la premier avrà anche un problema in più rispetto a responsabilità che già così fanno tremare i polsi: dovrà disegnare il centrodestra del futuro. Visto che con la morte del Cav., che in questi mesi non si è mai risparmiato, non ha più le spalle coperte”. 

 

Rotondi non è un interlocutore che abbiamo pescato a casaccio: era tra coloro che nel 1994 fecero nascere il centrodestra grazie al cosiddetto patto di via Santa Maria dell’Anima. In questi anni non ha mai cambiato collocazione politica, alle politiche è stato eletto con Fratelli d’Italia (ma da indipendente). “Sono l’antitesi del luogo comune sui democristiani che si riciclano”, scherza con il Foglio. Insomma, andiamo al sodo: Meloni è davvero l’erede di Berlusconi? “Il concetto di eredità è già problematico in ambito familiare, figuriamoci in politica, dove non esistono eredi. Diciamo che Meloni è il successore di Berlusconi. Ed è grazie a lei che il Cav. è stato salutato come padre della patria. Immaginandomelo in paradiso, me lo vedo con Paolo Bonaiuti e Niccolò Ghedini che le rivolgono tutti insieme un grazie di cuore”. Eppure adesso che il Cav. non c’è più, si apre tutta un’altra partita, molto intricata, a livello di politica interna. “Non mi sfuggono le gravose responsabilità che ha Meloni, non solo nell’attività di governo in un momento così complicato,  ma pure a livello internazionale, visto che probabilmente sarà chiamata a un lavoro di leadership dopo le prossime elezioni europee. Però da lunedì ha un peso in più di cui dovrà farsi carico. Ed è qui che cominciano i dolori”. Perché? “Perché adesso le toccherà anche spicciare la cucina. I partiti e le coalizioni non si guidano con il pilota automatico, come fosse una Tesla. Devi capire quali marce scalare, come muoverti”, spiega Rotondi, che con Berlusconi è stato anche ministro. Parla della improvvisa frangibilità di Forza Italia che potrebbe attentare alla stabilità della maggioranza? “Ma io non credo che Forza Italia abbia delle debolezze maggiori rispetto agli altri partiti. E’ oramai da diverso tempo che è diventato un cespuglio, non credo possa andare sotto il 7-8 per cento: quello è il peso minimo di chi si riconosce in una forza moderata, garantista, di ispirazione liberale e con un collegamento con la famiglia dei popolari europei”. E allora da dove viene quest’appresione? “Dalla scelta su cosa sarà il centrodestra nei prossimi anni. Tutti sono orientati verso un soggetto plurale, c’è una forte sollecitazione a dare vita a qualcosa di identitario: una specie di nuova Casa delle libertà. Questo è lo schema che propongono i consiglieri di Giorgia Meloni”. In quel caso ci potrebbe essere bisogno di un nuovo partito di centro dei democratici cristiani. “E io ci sto. Ma serve una riflessione. Dobbiamo unire le forze con un partito unico o mantenere lo schema delle alleanze che ci aiuta a livello elettorale ma ci penalizza per l’eccesso di dialettica interna? Tra i motivi per cui Berlusconi voleva il partito unico era poter arrivare a una sintesi. Dobbiamo insomma capire se vogliamo tante correnti dentro un’unica forza o tanti partiti senza correnti. Dovrà essere Meloni a decidere”. 

 

Insomma non vede il rischio che lo sfaldamento di Forza Italia possa andare a ingrossare il progetto del Terzo polo? “No, perché chi esce da Forza Italia vorrà ricollocarsi con chi vince, con chi è più forte numericamente. Il tema vero è dare un sostegno politico all’azione del governo. Perché come la Dc poteva permettersi di fare scelte impopolari, così la premier avrà bisogno di una rete politica. La fabbrica del consenso sono i partiti, non il governo”. E quindi se Meloni vuole dimostrare di saper raccogliere quanto seminato dal Cav. negli ultimi trent’anni, dovrà essere capace di rispondere a un processo di riorganizzazione che renda, forse, Fratelli d’Italia il vero partito della nazione che nemmeno Forza Italia è stata in grado di essere. “Quando un patriarca muore si è costretti tutti a crescere. E Meloni se vuol dare un contributo alla politica a queste questioni deve interessarsi sempre di più”.

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