1936-2023

Silvio Berlusconi è morto e con lui se ne va un pezzo della storia d'Italia

Salvatore Merlo

Il Cav. non ha superato le conseguenze di una leucemia. Aveva 86 anni. Lascia un'impresa editoriale saldamente in mano ai figli e un'impresa politica il cui destino è una completa incognita. Ora il paese dovrà fare i conti con quella che è a tutti gli effetti "una cesura della storia"

Silvio Berlusconi è morto. Le sue condizioni apparivano già gravi da alcuni giorni, quando era stato di nuovo ricoverato, ma stavolta in terapia intensiva, all’ospedale San Raffaele di Milano. La clinica che aveva contribuito a fondare e finanziare, con il suo amico Don Verzè.

Gli sono state fatali le conseguenze di una polmonite, tenuta a bada, ma sempre insinuosa per un uomo di ottantasei anni provato dalla troppa vita. Odiava parlare della morte, delle malattie, dell’età che avanza. Non gli piacevano i funerali, e se avesse potuto avrebbe volentieri disertato per sempre anche il suo. Una volta, il suo medico personale, poi elevato in Parlamento, Umberto Scapagnini, disse che il Cavaliere era “tecnicamente immortale”. Lascia un’impresa editoriale e finanziaria in un mondo che è sempre meno televisivo e sempre più internettiano, affidata ormai da tempo ai figli. E lascia un’impresa politica assai in crisi, il cui destino è un’incognita. Giorgia Meloni da tempo si era posta il problema, ritenendo che un’improvvisa scomparsa di Berlusconi avrebbe potuto determinare anche un improvviso crollo di Forza Italia. Che a questo punto non è da escludere. “Dopo di me il diluvio”, è sempre stato, d’altra parte, il motto di quest uomo che aveva costruito la propria epica del comando intorno al carisma monocratico, ludico e cinematografico dei grandi palchi illuminati dove un solo Cavaliere sulla tolda intona assieme al proprio popolo i jingle elettorali di “Forza Italia e “meno male che Silvio c’è”. La morte di Silvio Berlusconi, per l’Italia, è uno di quegli eventi per i quali non è retorica, ma fattuale, l’espressione “cesura della storia”.

 

C’è stato un “prima” Berlusconi e ci sarà un “dopo” Berlusconi. Nella società, nei suoi gusti, nei suoi costumi, nei suoi orientamenti. Trasformò la televisione e modificò il ruolo in cui persino la Rai guardava i suoi telespettatori, che diventavano consumatori e non erano più i destinatari della pedagogia democristiana e bernabeiana. E poi trasformò anche la politica, offrendo a quegli stessi consumatori un prodotto che si chiamava Forza Italia. Al forum di Assago, nel 1998, al primo congresso di questa “cosa politica”, che tutto sembrava tranne che un congresso, c’erano i coriandoli e le luci psichedeliche. Il Cavaliere che calava dall’alto in elicottero, che cantava al karaoke, che assisteva agli effetti laser d’una festa catodica capace di cancellare il ricordo dei congressi del ‘900, quelli del politburo acquartierato alle spalle del segretario in doppiopetto. Era il primo evento di massa di quella creazioe che alcuni già chiamavano impropriamente “partito” (Berlusconi non l’ha mai usata questa parola, “mi fa venire l’orticaria”) e che per Romano Prodi era invece “il nulla, il nulla, il nulla, il nulla“. Impolitico non solo impeccabile ma incrollabile, Berluscooni ha divampato come una fiamma nella storia d’Italia.

 

Consumato dalla sua stessa natura di ossimoro vivente. Titano ribelle, mezzo Prometeo mezzo Anticristo, anomalo perché in conflitto d’interessi, in conflitto d’interessi perché anomalo, chiamato dal destino a imporsi, a distruggere, a dilaniare anche sé stesso in una battaglia e in una sofferenza sovrumane. Attorno a lui ha ruotato vorticosamente la Seconda Repubblica e la follia di un paese intero. Ottantotto processi in circa ventisei anni.  Una volta, sul finire degli Anni ’90, disse ai giornalisti: “Se vi dico cosa ho speso penso sveniate”. Quanto? “Circa 600 miliardi di lire”. Fedele Confaloneri, l’amico di una vita,  più volte ha detto che “se fosse capitato a me non avrei retto. Sarei morto”. Ecco, la morte alla fine ha raggiunto anche Berlusconi. Ma non abbiamo dubbi che egli resterà, un po’ come Lenin nel mausoleo. Attraverso un codice, un’efflorescenza, un’emanazione. Il leninismo e il berlusconismo, ecco: una luce immortale e un conto in banca.

 

 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.