(foto EPA)

L'editoriale del direttore

Si scrive Europa, si legge realtà. Appunti per l'Italia

Claudio Cerasa

Bruxelles riesce a mettere sulla graticola contraddizioni e incoerenze della politica nazionale: vuoi vedere che il vero volto del paese è populista sui temi che contano meno, pragmatico sui temi che contano davvero?

Si scrive Europa, si legge realtà. Le elezioni sono lontane, le europee sono ancora un miraggio, avventurarsi in analisi preventive di ciò che sarà è seducente per chi scrive ma non altrettanto per chi legge. Ma se si sceglie di seguire una chiave di lettura semplice e lineare, anche se ambiziosa, si capirà perché mai come oggi l’Europa sta aiutando la politica italiana a mettere sulla graticola le proprie incoerenze, le proprie contraddizioni e le proprie fughe dalla così detta politica della responsabilità. Si scrive Europa, si legge realtà. E in questo senso è uno spasso vedere la politica fare i conti con l’Europa perché alla fine dei giochi quando metti piede nelle istituzioni europee i capricci del populismo e anche quelli dell’anti populismo tendono a sciogliersi come neve al sole. Un caso recente, a proposito di capricci populisti, pardon, anti populisti, è quello osservato pochi giorni fa a Roma, quando il gruppo politico europeo di riferimento di Renzi e Calenda, Renew Europe, ha organizzato una manifestazione nella capitale costringendo i duellanti del Terzo polo a partecipare alla stessa convention e a stare dalla stessa parte della barricata

 

Si può sfuggire alla realtà? Certo che no. Un altro caso recente, a proposito di schizofrenia populista, è stata invece la riunione della segreteria federale convocata dalla Lega tre settimane fa, durante la quale il partito guidato da Matteo Salvini, con eleganza, ha mostrato al proprio leader le condizioni per avere, nel futuro, una Lega non ostile al suo segretario: siamo al governo, caro Matteo, e dunque, ora, basta alleanze con l’AfD e con gli estremisti: è arrivato il momento di trovare un varco per avvicinarci al Ppe. Le imposture delle proprie alleanze, gli estremismi delle proprie traiettorie, al cospetto dell’Europa diventano evidenti, palesi. E’ successo anche al nuovo Pd, sta succedendo anche con il nuovo centrodestra. Anche qui, pensataci. Dov’è che, negli ultimi mesi, in Europa, il Pd si è diviso mentre il centrodestra si è incredibilmente unito? Sull’Ucraina, of course. L’Europa, per il centrosinistra, doveva essere il terreno perfetto in cui evidenziare le ambiguità del centrodestra, specie sulla Russia, e invece, oggi, l’Europa è diventata il terreno perfetto su cui misurare i passi indietro del Pd. In Europa, si vota per considerare la Russia come uno stato terrorista e il Pd che fa? Ovviamente si divide, mentre il centrodestra vota tutto compatto a favore della risoluzione. E ancora. In Europa, si vota sul regolamento per aumentare la produzione di munizioni per l’Ucraina e mentre il centrodestra sceglie di votare in modo compatto, il Pd che fa? Ovviamente si divide.

 

Al cospetto dell’Europa, spesso, le leadership dei partiti sono costrette in modo traumatico a fare i conti con le proprie contraddizioni, senza avere possibilità di nascondersi nella bolla dell’ambiguità, e lo stesso è successo, e forse succederà, con il partito di Giorgia Meloni. Anche qui, pensateci. Qual è stata la prima volta, prima ancora delle elezioni, in cui Meloni si è trovata costretta a fare i conti con la realtà? E’ stata, si risponderà facilmente, quando l’ex capo dell’opposizione ha scelto di sbattere la porta in faccia a un suo vecchio beniamino: Vladimir Putin. E chi è stato a costringere Meloni a cambiare, con rapidità, con decisione, la sua traiettoria in politica estera? Risposta semplice: il gruppo politico che presiede al Parlamento europeo, Ecr, dove la rappresentanza più importante è quella polacca (gli anti russi del PiS) e dove si capisce come Meloni sia stata costretta a scegliere cosa fare. Essere coerente con se stessa, con le sue idee del passato, con il suo essere euroscettica e filoputiniana, o essere coerente con la sua evoluzione, con il suo incarico europeo, con la necessità di fare i conti con la realtà attraverso l’Europa? E lo stesso potrebbe capitare tra qualche mese, ancora a Meloni, che, nel caso in cui dovesse ottenere un ricco bottino alle europee, sarebbe probabilmente costretta a mettere da parte la propria coerenza e a fare un salto in una stagione nuova all’interno della quale la fiamma potrebbe essere meno visibile rispetto a oggi. Una stagione all’interno della quale Meloni potrebbe essere l’unica leader di centrodestra a guidare un paese fondatore dell’Europa. E una stagione all’interno della quale potrebbe essere proprio Meloni la leader europea costretta più degli altri a trovare un modo utile per evitare che l’Europa del futuro sia governata da una coalizione di destra incapace di rappresentare nelle istituzioni europee due governi come quello francese e quello tedesco i cui partiti di riferimento potrebbero restare fuori dalla prossima maggioranza al Parlamento europeo (si può governare l’Europa senza Francia e Germania? Risposta esatta).

 

In passato, lo ricorderete, l’Europa è stata cruciale anche in altre occasioni in cui l’Italia si è trovata di fronte a un bivio politico. Il M5s mutò per la prima volta la sua traiettoria, facendo un passo lontano dal populismo, proprio a Bruxelles, proprio al Parlamento europeo, quando il partito di Giuseppe Conte, nel 2019, fu decisivo nell’elezione di Ursula von der Leyen. E fu sempre in nome dell’Europa, nel 2019, che il M5s scelse di abbandonare l’anti europeista Salvini, andando a fidanzarsi con il Pd. E ancora prima, è stato sempre in Europa che Matteo Renzi, nella prima fase della sua segreteria, riuscì a conquistare, per un periodo breve, il consenso degli apparati di sinistra, scegliendo di forzare le perplessità dei cattolici del Pd iscrivendo il Partito democratico, quello del 40 per cento, o yeah, non in un gruppo trasversale, di centristi, ma nel gruppo dei socialisti. Le elezioni sono lontane, le europee sono ancora un miraggio, avventurarsi in analisi preventive di ciò che sarà è seducente per chi scrive ma non altrettanto attraente per chi legge. Ma un dato interessante, nella campagna elettorale che presto si aprirà per dominare la politica di Bruxelles, già c’è. Ed è questo. L’euroscetticismo, tra i partiti italiani, esiste ancora, eccome se esiste, ma le particolari condizioni in cui si trova il nostro paese, con i partiti più euroscettici al governo e con i partiti più europeisti all’opposizione, potrebbero offrirci un altro show mica male: la prima campagna per le europee, nella storia d’Italia, senza anti europeismo militante. E allora, travolti da un irresponsabile ottimismo, verrebbe da chiedersi: e se fosse questo, in fondo, il vero volto dell’Italia? Populista sui temi che contano meno, pragmatico sui temi che contano davvero. Si scrive Europa, si legge realtà.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.