Sulla Corte dei conti si accende la zuffa tra Meloni e Bruxelles. Cresce l'affanno sul Pnrr

Valerio Valentini

La Commissione esprime riserve sull'abrogazione del controllo concomitante dei magistrati contabili sul Recovery. Le incognite giuridiche e il nervosismo di Palazzo Chigi, che replica con una nota risentita. La tensione ora è tutta politica. E per il governo c'è un rischio di autolesionismo

Il dispaccio temuto alla fine è arrivato. Non che questo segni necessariamente l’avvio delle ostilità, anche perché “qui a Bruxelles non ci esprimiamo su  provvedimenti in corso d’approvazione”. Però, se mercoledì sera, nell’atto di dare il suo imprimatur  all’emendamento che limita i poteri di controllo della Corte dei conti sul Pnrr, Raffaele Fitto rispondeva con esibita sicumera a chi gli chiedeva se non ci fosse il rischio di indispettire la Commissione europea, giovedì è arrivata la conferma che invece sì, qualche tensione ci sarà. Non sul merito della decisione, forse. Nessuno, neppure tra i più catastrofisti dei diplomatici italiani che dissodano il sentiero  accidentato tra Roma e Bruxelles, si spinge ad azzardare una bocciatura da parte dei tecnici di Ursula von der Leyen. Semmai, ed ecco il nodo, la scelta adottata dal governo col supposto obiettivo di semplificare l’attuazione del Pnrr potrebbe, per paradosso, finire per complicarla.

Tutto inizia intorno a mezzogiorno di giovedì. Quando due portavoce della Commissione, interpellati sulla bontà della norma voluta da Fitto, esprimono le loro riserve. “Noi abbiamo un accordo con l’Italia sulla necessità di avere un sistema di controlli efficace  per quanto riguarda la spesa  dei fondi del Pnrr e spetta alle autorità italiane garantire che questi enti siano in grado di lavorare”. Non solo. “L’Italia ha individuato un ente responsabile del controllo  sul Pnrr,   monitoreremo con grande attenzione cosa prevede la  legge riguardo alla  Corte dei conti”.

Un giudizio sospeso, più che una critica. Un avvertimento interlocutorio che però deve irritare non poco Palazzo Chigi se fin dall’ora di pranzo una manciata di collaboratori di Fitto, col supporto degli uffici della comunicazione di Giorgia Meloni, vengono impegnati nella redazione di una lunga nota che vedrà la luce alle sette di sera. Il governo rivendica che sì, i controlli lasciati in capo alla Corte dei conti “siano adatti e proporzionati” per la sfida del Recovery, arriva perfino a citare le interviste di costituzionalisti illustri (Cassese, Mirabelli, Coraggio) che nelle ultime ore hanno confutato le denunce di una forzatura autoritaria. E insomma Fitto e Meloni arrivano ad addentrarsi nel giuridichese, avviando una disputa per addetti ai lavori.

Illustrano infatti, a Palazzo Chigi, come nel dl 77 del 2021, quello con cui Mario Draghi ha definito la governance del Pnrr assegnando dunque anche i poteri di controllo alla Corte dei conti, non venga richiamato espressamente il provvedimento varato dal governo Conte nel 2020 e che istituisce il discusso “controllo concomitante”, ma “solo” un comma di un articolo delle legge fondamentale della Corte, che risale al 1994. Solo che in quel comma viene specificato come la Corte possa svolgere i suoi controlli “anche in corso di esercizio”: e dunque, in breve, ecco che il riferimento alle verifiche in itinere sul Pnrr rifiorisce.

Ma se queste sono disquisizioni da giuristi, la sostanza delle contestazioni di Meloni e Fitto alla Commissione è tutta politica. Definiscono significativamente quello di Bruxelles come un “pre-giudizio” e aggiungono che quelle pronunciate dai portavoce della Commissione sono portavoce della Commissione “considerazioni che alimentano polemiche politiche strumentali che non corrispondono alla realtà”. Che non è, viene da dire, il modo migliore per svelenire un clima già abbastanza intossicato da crescenti, reciproche insofferenze.

L’intervista rilasciata da Paolo Gentiloni alla Stampa, ieri, è stata accolta con fastidio dai fedelissimi di Meloni. “Prepara la campagna elettorale per le europee…”, sussurrano maliziosi a Via della Scrofa. Ma in quelle dichiarazioni, in verità assai pacate, del commissario agli Affari economici, c’è la sostanza di un’obiezione che a Bruxelles circola assai, in queste ore. In sintesi: se la Commissione, com’è ovvio, nel certificare il raggiungimento di centinaia di obiettivi non può addentrarsi nei meandri della giurisprudenza nazionale dei vari stati membri, e dunque non è predisposta a effettuare controlli su frodi e corruzioni e conflitti d’interessi nell’attuazione del Pnrr, è chiaro che questo ruolo deve svolgerlo un ente nazionale. Per questo, nel regolamento fondativo del Recovery, si chiedeva agli stati membri d’individuare un proprio controllore interno, e Draghi lo scelse nella Corte dei conti. Ora, e qui si viene al rischio dell’autolesionismo sovranista, se lo stato che ha il Piano di riforme più cospicuo è il primo a ridefinire in senso più restrittivo i poteri dell’ente preposto a vigilare sui progetti da realizzare, non c’è da meravigliarsi se poi la Commissione vorrà esercitare delle verifiche a posteriori più scrupolose che mai.

Che è, in effetti, quello che sta già avvenendo sui 55 obiettivi di dicembre 2022, su cui Bruxelles, dopo una lunghissima istruttoria e dopo una proroga due volte prolungata, e dopo un faticoso confronto col governo italiano, quando a Palazzo Chigi speravano ormai nell’esborso della rata da 19 miliardi, ha deciso di procedere a un ulteriore controllo a campione sui progetti conseguiti. Con una puntigliosità così meticolosa che a certi ministri meloniani pare accanimento. “E’ una mossa politica, quella della Commissione”, lamentano. Ma c’è forse da stupirsi del fatto che a Bruxelles anche la politica abbia la sua rilevanza?
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.