Matteo Salvini e Giorgia Meloni (LaPresse)

l'editoriale del direttore

I nemici di Meloni sono a destra

Claudio Cerasa

Imprevisto: non è la sinistra che la premier deve temere per il suo futuro. Ma la Lega “rivale”, gli amici nazionalisti, i rigoristi europei e il vento trumpiano. Guida agli ostacoli della fase due

Può sembrare un paradosso, e forse lo è, ma guardandosi attorno, in questi mesi, Giorgia Meloni deve essersi accorta di un problema inaspettato, che coincide con il fronte più pericoloso e anche inatteso dei nemici da cui difendersi. Un fronte al centro del quale non vi sono i tradizionali avversari politici, la così detta e generica “sinistra”, e non vi sono neppure i temuti mercati finanziari, al momento molto clementi con il governo Meloni. Ovunque si guardi, sia sul fronte interno sia sul fronte europeo sia sul fronte internazionale, il più temibile nemico che si presenta di fronte agli occhi della presidente del Consiglio è un altro, e coincide con uno spauracchio imprevisto. Proprio lei: la destra.

  

In Italia, come è evidente, lo spauracchio della destra, per Meloni, è decisamente più vivo dello spauracchio della sinistra, che al momento, a colpi di armocromia, flop elettorali, battaglie di retroguardia e divisioni surreali, come quelle registrate giovedì al Parlamento europeo sulle armi da inviare in Ucraina, produce solo molto solletico alla premier.

 

E in questo senso, visto il solletico generato dal centrosinistra, chissà quante volte nei primi otto mesi di governo la presidente del Consiglio si deve essere chiesta fino a che punto i suoi amati alleati della Lega cercheranno, da vera opposizione interna, di mettere i bastoni tra le ruote della maggioranza. E il ragionamento vale sia quando la Lega, vedi il caso delle sparate di Ignazio La Russa e vedi il caso delle sparate di Lollobrigida, tenta di interpretare il ruolo di forza moderata del governo, mossa dal desiderio di ricordare che i veri estremisti della maggioranza sono in Fratelli d’Italia. E vale anche quando il leader leghista tenta invece in tutti i modi di ergersi a custode unico del sovranismo smarrito, alzando il tono del confronto con la Francia, per esempio, mostrando le impronte digitali dinanzi alle epurazioni in Rai e lasciando al suo destino la premier ogni volta che il governo si ritrova costretto a fare i conti con le richieste di un’Europa che Salvini, quando può, piccona come faceva un tempo. La Lega, non è una notizia, è una spina nel fianco per Giorgia Meloni, e anche qui chissà quante volte la premier avrà sognato di poter vedere i consensi del suo partito salire a tal punto da potersi permettere di tornare a votare, un giorno, riducendo al lumicino il consenso leghista.

    

Ma lo stesso problema, con la destra, e se vogliamo molto più grande, Giorgia Meloni ce l’ha quando si proietta fuori dall’Italia e si confronta con il contesto internazionale. La destra è un problema in America, per Meloni, perché per una destra atlantista, e filoucraina, che cerca di far dimenticare il proprio passato, non c’è nulla di peggio che avere un’America trumpiana per permettere agli scheletri ben piegati nell’armadio di tornare a farsi strada e di allontanare Meloni dal percorso di costruzione di una destra post sovranista, percorso che con fatica sembra voler imboccare oggi (ve la ricordate la mano di Meloni stretta in quella di Biden, no?). La destra, però, è un problema per Meloni anche in Europa e non ci vuole molto a capire quanto l’impresentabilità dei suoi vecchi compagni di viaggio sia ancora oggi un ostacolo per il suo futuro. Più Marine Le Pen crescerà nei sondaggi e più la Francia di Macron sarà tentata dal combattere il lepenismo demonizzando il melonismo. Più Viktor Orbán continuerà a dividere l’Unione europea e più l’Italia di Meloni sarà costantemente sotto osservazione rispetto al suo essere un paese desideroso di fare qualche passo lontano dal vecchio euroscetticismo.

  

Più i suoi alleati al governo, in Italia, saranno legati mani e piedi con gli estremismi d’Europa (la Lega, per dire, è ancora alleata in Europa con il gruppo parlamentare dell’AfD), e più sarà difficile, per Meloni, avere in Europa, in futuro, solidi alleati con cui costruire accordi politici. E più i sovranisti avanzeranno tra i vari paesi dell’Unione europea, infine, e maggiore sarà la tentazione di questi paesi di essere meno solidali con l’Italia (più l’Europa sarà pervasa da governi con alto tasso di nazionalismo e minori saranno le possibilità per l’Italia di avere flessibilità sul Patto di stabilità, sulla redistribuzione dei migranti, sugli Eurobond, sugli aiuti di stato). La destra, in Europa, e non solo lì, è per il partito di Meloni una nemica temibile, a volte terribile, e il ragionamento se ci pensate vale anche se lo si proietta nel futuro, addirittura alle prossime europee, dove il calcolo che sta facendo in queste ore qualcuno a destra, in Italia, potrebbe non funzionare.

  

Si dice, lo dicono diversi esponenti del centrodestra italiano, che sul Pnrr l’Italia deve avere pazienza, perché una volta che la destra andrà al potere in Europa, nella prossima legislatura, dopo giugno 2024, tutto sarà in discesa e finalmente vi sarà un po’ di clemenza, un po’ di flessibilità, un po’ di generosità. Se non fosse però che in verità, come facilmente si intuisce dagli atteggiamenti mostrati dai partiti di destra in Europa rispetto alle inadempienze dell’Italia nella ratifica di alcuni trattati e rispetto alla possibilità che l’Italia sprechi risorse europee, i più flessibili in Europa, i più disposti cioè a portare avanti una politica di solidarietà, sono proprio coloro che in teoria dovrebbero essere i nemici di Meloni, ovvero i progressisti. E l’idea che nella prossima legislatura Meloni debba fare i conti più con i rigoristi di destra, nazionalisti compresi, che con i flessibili progressisti dovrebbe spingere Meloni a chiedersi, quando sarà, se mai sarà, cosa fare affinché, il prossimo anno, la destra italiana in Europa sia in grado di coinvolgere anche i partiti non conservatori nella gestione delle istituzioni europee.

  

La destra italiana, quella che prova a maturare, a togliersi di dosso, quando riesce, la patina di irresponsabilità, ha un problema con la destra internazionale e ha ormai una consapevolezza diffusa: la sua ascesa, nel futuro, è direttamente legata al crollo degli amici di un tempo e sarà per questo, e non per altro, che prima o poi Meloni busserà alla porta di Macron per chiedergli un aiuto. Nella consapevolezza che mai come oggi i nemici dell’Europa sono anche nemici dell’Italia.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.