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il commento

Per una volta che la sinistra si vuol vestire meglio, la classe operaia si indigna

Fabiana Giacomotti

L'unica cosa che si può imputare a Elly Schlein è di aver scelto una professionista di medio cabotaggio, visto che continua a essere vestita malissimo. Non c'è nulla di sbagliato nel voler definire al meglio la propria immagine pubblica

Telefona il collega della rivista di gossip e chiede “fino a quando si possa risalire indietro nel tempo per trovare un politico che si affida a un consulente di immagine” e ride quando gli citiamo di istinto Giulio Cesare, che era ossessionato dalla calvizie incipiente, o Elisabetta I che aveva fissato i codici pubblici della propria immagine al punto che, quando passava in carrozza, vecchia e sdentata, per le campagne inglesi, nessuno era in grado di riconoscerla perché, come una influencer contemporanea, diffondeva di sé ritratti ampiamente “filtrati” dalle mani dei pittori di corte, dove continuava ad assomigliare alla “regina vergine” salita al trono quarant’anni prima.

 

Ci sarebbe anche il caso di Margaret Thatcher, per la quale studiarono il doppio registro, caschetto rigido come un elmo, camicia col fiocco al collo per non mettere in allarme le brave massaie inglesi, e si potrebbe continuare. So what? Di che cosa stiamo parlando? Di una trentenne che, riconoscendo di non avere gusto nel vestire e percezione di sé, e volendo competere sul terreno individuale, da simbolo della sinistra dei diritti personali, si affida a una armocromista per definire al meglio la propria immagine pubblica?

 

Alla segretaria del Pd, Elly Schlein, messa sotto accusa dalla solita italietta codina e infimo-borghese perché in un’intervista a Vogue ha dichiarato candidamente di essersi fatta aiutare da una professionista dell’immagine, si può imputare solo di averne scelta una di medio cabotaggio, visto che questa povera ragazza continua a essere vestita malissimo e con i colori meno donanti che si possano immaginare, grave difetto per sfondare nelle enclavi a cui ambisce e che di immagine si intendono tantissimo (inciso: la scuola delle estetiste-consulenti di immagine bolognesi meriterebbe uno studio a sé; ai tempi di Romano Prodi andava per la maggiore una di quelle “maghe delle punturine” che deturpò i volti delle mogli dell’entourage del premier, compresa una famosa stilista). Epperò, che occasione mancata.

 

Una volta che la “sinistra” aveva l’opportunità di dimostrare alla “destra” – siamo sempre a Giorgio Gaber – che le sue donne migliori, ancorché non troppo allineate, non sono l’epitome della sciatteria zoccolante, ma che vengono vezzeggiate dalla rivista più elegante del mondo, eccola subito a rognare sul confronto con le povere masse neglette che non possono permettersi l’armocromista e l’intervista su Vogue. Dunque, ormai è chiaro: alla classe operaia il paradiso è negato comunque, e anche quando glielo offrono va rifiutato con sdegno.
 

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