Il caso

Elly Schlein e il ko del Pd: "Non buttiamoci giù". Ma riecco le correnti

Simone Canettieri

La segretaria rinuncia al viaggio a Bruxelles: troppe le grane interne. Sotto processo la nuova guardia. Bonafoni: "Le vecchie logiche non torneranno"

Tira aria di ponentino nel Pd, soffiano venti di correnti romane che i muri del Nazareno conoscono bene. Basta una sconfitta, come quella delle ultime amministrative. “Eh, no! Le correnti non torneranno: sono il passato. Adesso, mi scuso ma vado di corsa: mi attendono i nostri giovani per parlare di casa, diritti e lavoro”, dice Marta Bonafoni, consigliera regionale nel Lazio, coordinatrice della segreteria e di fatto numero due di Elly Schlein. Sono scene già viste, parole già ascoltate. Il Pd è tipo la città di Troia, distrutta e ricostruita un sacco di volte.

Quindi tutto può succedere, anche niente. Il fatto è che la leader dopo la batosta sarebbe dovuta volare a Bruxelles per cercare una linea condivisa con gli europarlamentari sul piano per aumentare la produzione di armi. Ma alla fine è rimasta a Roma, al partito, e si è collegata in remoto. “Ragazzi, non buttiamoci giù: vinceremo le Europee e supereremo Meloni”, dice alle truppe, per nulla unite, sul progetto Asap.  

E però oggi le priorità sono Ancona e Pisa, Massa, Siena e Catania. La posizione del Pse sulle armi a Kyiv può aspettare. Anche perché la situazione è complicata come raccontano benissimo le bandiere dell’Ucraina e della pace che campeggiano, una davanti all’altra, all’ingresso del partito. 

In Parlamento, alla Camera, la segretaria non si fa vedere per tutta la giornata. I deputati che in maggioranza non hanno sostenuto Schlein e che si sono visti imporre i nomi della segreteria spuntati fuori dalla classica nomenklatura del Pd  mormorano con una certa felicità. Si vede Igor Taruffi, responsabile dell’organizzazione, parla con Arturo Scotto. Lo osservano i vecchi compagni di Sinistra italiana. “Con noi era un bravo consigliere regionale, con il Pd è il capo dell’organizzazione: questa è la differenza, un po’ strano non trovate che un partito così grande si affidi a un bravo politico che però non hai mai avuto esperienze simili, no?”. Taruffi ora fa l’assessore in Emilia-Romagna e lavora con Davide Baruffi, uomo del governo di Stefano Bonaccini, nominato responsabile degli enti locali del Pd. La partita delle amministrative l’hanno gestita loro, già alle prese con l’emergenza alluvione. Normale che qualcosa sia sfuggito. Il movimentismo sembra non aver pagato, il partito pesante e organizzato rimane fondamentale. La pensa così anche Andrea Orlando senza certo voler sparare sul tortello (o lambrusco) magico, nucleo di potere intorno alla segretaria. Anche le nuove leve finiscono nella pancia del Pd, temibile e sempre affamata, tipo balena di Pinocchio.  Nel Lazio, per esempio, le amministrative restituiscono un partito depotenziato. Sicuramente manca quella testa politica e pragmatica di Bruno Astorre: uno che aveva fiuto ed era ruspante.

Di fatto ora Roma e le province sono nelle mani di Bonafoni: a Fiumicino, Aprilia, Velletri, Anagni, Rocca di Papa, Velletri ha vinto la destra, per non parlare di Latina. Anche in Toscana è andata come si sa: Pisa, Siena e Massa. E poi Campi Bisenzio, per esempio. Tremano Firenze e Livorno, e anche in regione non si sentono tanto bene. Il deus ex machina della Toscana è Marco Furfaro, deputato della nouvelle vague (i maligni dicono nouvelle Vogue, nel senso della rivista) che viene da sinistra, fedelissimo della segretaria. Stesso discorso per la Sicilia di Peppe Provenzano, solido responsabile degli Esteri del Pd che non ha visto arrivare ko importanti, a partire da Catania, Ragusa, Trapani e Siracusa.

In Puglia è andata così così, ma Francesco Boccia, già responsabile enti locali di Enrico Letta e ora motore dell’ellysmo, ha dato la colpa alla passata gestione del Pd, quella cioè lettiana. Al punto che anche la misurata portavoce dell’ex segretario ha deciso di puntualizzare due o tre cosette su Twitter: “Lo scaricabarile, vi prego, no. Enrico Letta le amministrative le ha stravinte e per 2 anni di seguito: 5-0 nel 2021 e vittoria ‘a valanga’ (cit. Rep) a giugno 2022. Poco dopo ha perso (male) le politiche. Ma non ha cercato alibi e non ha mai sparato contro nessuno del Pd”. Ecco il clima è un po’ questo. Al punto che anche una vocina di dentro fornisce una dritta controversa: “Anche Dario è in fredda con Elly”.

Possibile dunque che anche Franceschini, nume tutelare e primo top player a investire su Schlein abbia qualcosa da ridere? O forse la vuole solo proteggerla? Ma l’ex ministro della Cultura, si sa, è uomo di sfumature e mezze battute. E in questa fase è l’unico a poterla difendere in pubblico e ammonirla in privato. 

Insomma, si capisce perché alla fine la segretaria abbia deciso di rimanere a Roma, di farsi vedere al partito dove non va di frequente. E’ sicura che queste amministrative siano un inciampo nella sua corsa. Agli europarlamentari dice di “non buttarsi giù”. Promette una fase due. Intanto, il ponentino soffia dalle parti del Nazareno. Per promettere riscossa in serata convoca le telecamere per una dichiarazione a uso e consumo dei tg. Ma a parlare è Bonafoni.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.