Il caso

Inafferrabile Elly Schlein: viaggio alla ricerca della segretaria che sogna il Pd al 30 per cento

Simone Canettieri

Il rapporto con Nanni Moretti, le telefonate con l'economista Barca. Così la leader si eclissa e pensa alla fase due del partito: martedì volerà a Bruxelles

Dov’è Elly? Un giorno la cercavano per il compito di latino, al liceo pubblico cantonale Lugano 1, ma stava in cortile a suonare la chitarra. Tranquilla e beata. Pezzi su pezzi di heavy metal. Rideva, la ragazzina di Agno, figlia dell’upper class. Sorriso irregolare e spontaneo. “Alla fine entrò in classe, fece la sua bella traduzione e prese il massimo dei voti, come sempre”, ricorda divertito il suo vecchio professore di geografia e informatica, Alberto Leggeri. Oggi come allora la stessa domanda: dov’è Elly?


C’è il caso Ita-Lufthansa, il Pnrr fa ballare Palazzo Chigi, Stefano Bonaccini ha i piedi nel fango e il governo non vuole nominarlo commissario per la ricostruzione. Ma lei, Elly, dov’è? E’ apparsa ieri nel tardo pomeriggio ad Ancona. Giovedì era a Trento al festival dell’Economia, poi è andata in Toscana per i ballottaggi. La sera da Corrado Formigli a “Piazza Pulita”. Provate a prenderla. Fatele una domanda dritta, esigete una risposta netta. Primula rossa. Epifania democratica e armocromatica. Non ha un’agenda. Vive in hotel (ancora per pochissimo). Non scrive sulla chat di gruppo della segreteria. Al massimo interviene con l’emoticon del pollice alzato. Se René Ferretti in “Boris” ripeteva sempre “dài! Dài! Dài!”, lei ha la fissa di caricare i suoi con “forza! Forza! Forza!”. 


A chi la critica per questo stile – appaio e scompaio ma anche dico e non dico – risponde: voi siete dei boomer. E cioè dei vecchi, che vivete la politica come un rito barboso, e poi saluta tutti e va al concerto dei Maneskin e dei Baustelle, gli ultimi due eventi musicali che si è concessa (oltre alla cena svelata da questo giornale sull’attico di Claudio Baglioni).  Donnafugata, ma la troveremo.   

Mattinata qualsiasi al Nazareno, sede del partito che Elly Schlein voleva occupare ai tempi dei 101 di Romano Prodi (“ah, il Prof., lo sento spesso!”) e che adesso la vede con il binocolo. Voce di un dipendente dem: “Qui non viene mai”. Non ha arredato nemmeno la sua stanza, che fu di Enrico Letta, al terzo piano dello storico collegio. “Ma com’è fatta?”. All’osteria La scalinata, dove Pierluigi Bersani era di casa, dobbiamo far vedere la sua foto sul cellulare tipo “Chi l’ha visto?”. Ed è subito momento Sciarelli: ha 38 anni, capelli a caschetto, è bilingue, ha tre passaporti, indossa abiti dai colori sgargianti, dice che farà rinascere la sinistra, la conosce?  “Ah, mai entrata”. Al bar Origano, davanti all’ingresso del Pd, forniscono un indizio: “Lei non si vede, ma manda i suoi a prendere l’amatriciana: il suo piatto preferito, deduciamo”. Dunque esiste. E mangia, ma preferisce su tutto la lasagna, ci informa una fonte autorevole dietro richiesta di anonimato. La sera, spesso, va a cena al Chianti, ristorante a due passi da Fontana di Trevi, con la cucina aperta fino a tardi. “Beve vino rosso”. 


Niente. Bisogna provare alla Camera dei deputati. Prima di vincere le primarie, appena sbarcata a Roma, capitava di incontrarla da sola, su una panchina in cortile o su un divanetto in Transatlantico. Cellulare e sigaretta elettronica. Si vedeva subito che non faceva minimamente parte dell’arredo. Gentile, sorridente, ma impalpabile per i cronisti: rarissime battute, zero titoli presi “a strappo”, figurarsi le interviste rubate. In compenso le rare conferenze stampa sono già diventate un genere giornalistico, si va per avere un pezzo di politica ed esce fuori un racconto di colore. Comunque meritano.


Da quando è diventata segretaria del Pd, Elly Schlein si vede di rado nel Palazzo. Supplemento d’indagine. Telefonata a uno storico funzionario del Parlamento. E’ un maestro di statistiche, venne assunto ai tempi di Craxi, Andreotti e Forlani: “Allora, sì. Tiro fuori il dato, mi serve un po’ di tempo. Va di fretta?”. Eh sì. “Ecco ci sono: da quando è iniziata questa legislatura, il 12 ottobre, fino ad aprile su 1.551 votazioni elettroniche la segretaria ne ha effettuate 567. Ovvero il 36,56 per cento. Si è vista in Aula, per votare, una volta su tre. Tutti i leader politici sono poco presenti, va detto. Certo quando entrai la prima volta qui dentro c’era altro materiale umano e politico...”. Grazie, andiamo di fretta, dobbiamo cercarla. “Non è tipa da buvette”, raccontano i camerieri in livrea che tutto sanno e ascoltano al di là del bancone. “Ogni tanto si prende una Coca”.

Ma quindi dov’è Elly? Attenzione: “Io l’ho sentita questa mattina e ci siamo scritte diverse volte nel pomeriggio”, confida, dopo tanto insistere, Marta Bonafoni, consigliera regionale nel Lazio, figura chiave ed emblematica del nuovo partito. Anche lei, come la segretaria, è una neo iscritta del Pd, ma di fatto è la numero due. Sarà capolista alle Europee nella circoscrizione dell’Italia centrale (gira già la lista: lei sarà testa di serie, poi Paolo Gentiloni, Camilla Laureti e Nicola Zingaretti). Bonafoni viene da sinistra (dal vendolismo declinato a Roma dall’europarlamentare Massimiliano Smeriglio). Così come Igor Taruffi da Porretta Terme, assessore regionale in Emilia Romagna, capo dell’organizzazione e dunque numero tre, amico personale di Francesco Guccini (il maestrone alle primarie votò Bonaccini, la moglie invece scelse Schlein). Nei giorni scorsi, quelli dell’alluvione, tutti a cercare come sempre la segretaria, e alla fine è spuntata fuori una foto di lei con Taruffi sugli Appennini alle prese con gli smottamenti.  


Igor, Marta ed Elly: in questo triangolo c’è quello che una volta si sarebbe chiamato entrismo (definizione della Treccani: è la tattica di appartenenti a gruppi contestatori che si infiltrano in seno alle organizzazioni o istituzioni esistenti per operare modifiche dall’interno). I tre sono molto legati. Bonafoni e Taruffi parlano della capa come di un genio, una fresca e dall’energia incredibile. Fosse per loro la vorrebbero tutti i giorni su un palco, a una manifestazione, a un comizio, fuori da un supermercato, davanti a una fabbrica a volantinare, su un tetto a protestare, magari anche arrampicata sul Colosseo tipo Nando Mericoni, lui prima di lei americano a Roma. Movimentismo. Apparire e scomparire: puff. Ma il termovalorizzatore serve e i ragazzi di Ultima generazione fanno bene a insudiciare i monumenti per sensibilizzarci sul cambiamento climatico? Boh. 


In Parlamento, ma anche in Rai, il vero motore dell’ellysmo è Francesco Boccia. Lei si fida e delega. Nei momenti di eclissi schleiniana bisogna cercare lui: gestisce, dice la penultima - e a volte anche l’ultima - parola, è trasversale, non disdegna con la moglie Nunzia i salotti, risulta simpatico ai giornalisti, con i quali è perfettamente a suo agio. Boccia dice che passate le amministrative in Sicilia partirà la fase due della segretaria: sempre di più sul pezzo, attiva, non più chimera. Inizierà la corsa per le Europee. Obiettivo della casa: superare il 25 per cento e avvicinarsi il più possibile al 30. Si vedrà. Flavio Alivernini da Palombara Sabina, il portavoce, davanti agli attacchi e alle perplessità per l’assenza della sua principessa sui temi caldi dice sempre due cose. La prima: la sera delle primarie i principali giornali italiani avevano inviato i cronisti di punta che seguono il Pd a Bologna da Bonaccini, segno che non c’avevano capito molto. La seconda: perché nessuno scrive che il Pd con Elly ha preso quasi sette punti? Alivernini veste sempre di grigio – e ora non fate le solite battute sull’armocromista di gruppo – e fa parte del cerchio operativo, insieme a Gaspare Righi, navigatore gps di Elly da dieci anni tra Bologna, Bruxelles e Roma. Quest’ultimo è un tipo molto discreto, matematico, viene dal mondo dell’Arci. Lui per statuto sa dov’è lei. Sempre. Ma non parla mai. Ti sorride e basta. 


Nella ricerca disperata di Schlein, come la Susan del film, si capiscono due cose. Nel Pd i parlamentari la soffrono, sotto sotto la criticano, non la capiscono. L’accusano di non rispondere al telefono.  Ne contestano la voluta ambiguità su molti temi, quasi tutti. Tuttavia la temono perché sanno che la donna può essere cattivella e soprattutto molto risoluta. Caso di scuola: la piccola vicenda capitata a Chiara Gribaudo, già coinquilina, che la leader non ha voluto come capogruppo alla Camera al posto di Debora Serrachiani. Oppure Giuseppe Conte: quando il capo del M5s l’attacca lei dice ai suoi fedelissimi “non gli rispondo, ma questa me la segno, vedrete”.


I parlamentari del Pd l’osservano con distacco e si danno coraggio. In pochissimi hanno confidenza con lei. Non si allargano. Vietate domande e curiosità sulla compagna Paola Belloni. Qui si parla di politica, nuova politica. Lo ha capito per primo Dario Franceschini, uno che l’ha vista arrivare eccome. Il “ministropersempre” è defilato, si attiva solo quando c’è qualcosa di grande e importante da decidere. 


Quando lei non c’è insomma è difficile che sia con lui. Magari, questo sì, la segretaria è al telefono con Fabrizio Barca. Uno dei suoi grandi consiglieri economici, seppur nascosto, della leader. Tipa puntigliosa e secchiona che si “flippa” – come raccontano a Bologna i compagni di università che facevano le serate con lei all’Estragon – fino a voler spaccare il pelo in quattro. Lo sa bene Enrico Letta che quando decise di candidarla alle politiche passò ore e ore a discutere con lei di tutti gli aspetti (compresa la richiesta dell’allora vicepresidente della Regione di non voler versare al gruppo la quota da parlamentare in quanto indipendente del Pd, poi la storia è andata diversamente). Lei è diventata segretaria e con Letta non si sentono quasi più. Eppure l’ex premier rivendica il tempo perso a convincere Elly a partecipare alle Agorà per allargare il Pd agli esterni. “Io non la sento da dieci anni e non parlo di lei”, dice Pippo Civati, compagno di strada con Possibile, prima della rottura. Gli si vorrebbe chiedere se Schlein ha dei tratti di decisionismo renziano, visto che Civati fu anche un leopoldino della prima ora. Ma non c’è verso. “Sì, ha dei lati che mi ricordano Matteo, basti guardare come ha fatto la segreteria: ha scelto lei e basta e vedrete alle Europee”, dice un esperto di comunicazione che conosce bene il vecchio e la nuova segretaria del Pd. La descrivono un bel po’ cinica. Bonaccini, che la ebbe come vice e come assessore proprio con le deleghe finite nel mirino con il maltempo, in privato non ne parla benissimo.

La descrive come una leader molta immagine e poco contenuto. E’ un fatto politico che lei non si sia mai fatta vedere al suo fianco in questi tremendi. Già, ci risiamo: ma dov’è? Di recente al cinema, a vedere al Sacher l’ultimo film di Nanni Moretti. Ecco, il regista-papa della sinistra e la segretaria hanno un rapporto confidenziale. Lui le propose durante le primarie di ospitare un dibattito nel suo tempio con lo sfidante, che però non accettò. “Se Elly non avesse fatto politica, l’avrei assunta per lavorare al festival di Locarno e con la rivista della kermesse: ha una passione e una cultura cinematografica fuori dal comune”, dice Lorenzo Buccella, giornalista per la Radio televisione svizzera e animatore del festival di Locarno. Ora: non è che mentre i riformisti del Pd hanno il mal di pancia per le ricette economiche sinistrissime e mentre i cattolici si fanno il segno della croce sulla gestazione per altri, Schlein sta sul divano a farsi le maratone di film indipendenti americani o si guarda i documentari del suo amico regista terzomondista Andrea Segre? “Non diciamo fesserie, e poi il rapporto con il mondo cattolico è forte”, dicono i pretoriani del nuovo Pd, chiamati “gruppettari” da quelli del vecchio Pd.

E se stesse in chiesa, a sorpresa? Sul taccuino a questo proposito rimangono scritti due nomi: Matteo Zuppi, presidente della Cei e carismatico cardinale di strada molto amato a sinistra, e don Mattia Ferrari, cappellano dell’Ong Mediterranea. Comunque in chiesa non c’è. E nemmeno al ghetto è stata avvistata. Con la comunità ebraica di Roma, la più importante e grande d’Europa, i rapporti sono cordiali dopo la battuta che fece su di sé Elly: “Mi attaccano per il naso ebreo”. Un’uscita che Ruth Dureghello non prese benissimo, tanto che servì una telefonata riparatrice. Ma attenzione, eccola: sta salendo sul palco di Ancona. Applausi. Cori. Lei che incita: “Forza! Forza! Forza!”. Sta pensando che alla fine la spunterà e che questa assenza fisica e politica sarà la sua arma in più quando dovrà contare i voti delle Europee. Martedì sarà a Bruxelles, città cosmopolita e longilinea come lei. Sorride. Le critiche le scivolano sul blazer verde oliva. E chi non la capisce è un boomer.   

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.