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Il dibattito

Guardia di Finanza, scontro Giorgetti-Mantovano. Meloni cede al rinvio pur di incassare la Rai

Simone Canettieri

Stallo alla messicana nel Cdm. I nomi girano nell'aria come i collaboratori nei corridoi in attesa di una fumata bianca. Alla fine arriva solo la nomina di Nicola Dell'Acqua a commissario dell'emergenza idrica

Passa la norma sulle fondazioni lirico sinfoniche (lo sblocca Fuortes alla Rai), ma nel governo se le suonano sulle nomine. Non bastano due ore e mezza di riunione ristretta nella stanza di Giorgia Meloni per trovare un accordo. Stallo messicano. La Lega non vuole Andrea De Gennaro alla guida della Guardia di Finanza, Fratelli d’Italia frena sulla scelta di Vittorio Pisani a capo della Polizia. E così salta anche il prefetto di Roma, che da due mesi e passa aspetta di essere designato. L’unica nomina riguarda Nicola Dell’Acqua commissario all’emergenza idrica. Le notizie dunque sono due: il governo si avvia a cambiare la governance della Rai, ma allo stesso tempo si avvita sulle Fiamme gialle e sulla Polizia. Poi ci sono i protagonisti della giornata.

 

Il Consiglio dei ministri convocato per le 16 senza un accordo politico inizia con due ore e mezza di ritardo. Nella stanza di Meloni ci sono il sottosegretario Alfredo Mantovano e Giancarlo Giorgetti. Si discute del futuro della Gdf e dunque del dopo Giuseppe Zafarana, diventato presidente dell’Eni. Il ministro dell’Economia si oppone alla nomina di De Gennaro, fratello del super poliziotto Gianni. Spinge per un rinvio. Matteo Salvini è assente, ma c’è, eccome. Fa asse con il suo vice. Viene più volte interpellato al telefono. Il nome del Carroccio è un altro: Umberto Sirico. Ma Mantovano, descritto dai leghisti come una sorta di vicepremier ombra, si oppone. E Meloni tiene il punto. Giorgetti viene descritto molto contrariato dalla scelta del fratello dell’ex capo della Polizia. Da Via Bellerio dicono che non sia gradito ad ambienti del Mef e della Finanza stessa. Inizia la trattativa nella stanze della premier con il resto dei ministri che sta sui divani, al telefono, in piedi, a passeggio nei corridoi in attesa di una fumata bianca. Che non c’è. I leghisti aggiungono anche un altro dettaglio: Giorgetti non solo è allineato e coperto da e con il suo segretario, ma anche Guido Crosetto, ministro della Difesa in quota Fratelli d’Italia, gli regge bordone ed entra ed esce nella stanza. Da qui nasce una lite – ecco i Fratelli coltelli – con Mantovano. Tutti contro tutti. Con Forza Italia che non partecipa attivamente alla disputa. Antonio Tajani viene sì interpellato, ma anche lui è fuori: si trova in viaggio tra Firenze e Milano, dove oggi si celebra la convention di Forza Italia. 

 

La triangolazione spinge, in mancanza di un’intesa, per un rinvio. Come poi accadrà. Anche perché sul tavolo c’è la norma che permetterà di  accompagnare all’uscita il direttore del San Carlo di Napoli, il francese Stéphane Lissner. Il sovrintendente ha 70 anni, la norma varata alla fine da Palazzo Chigi pone proprio a 70 anni il limite d’età per il pensionamento dei sovrintendenti dei teatri, compreso chi non è italiano. Un modo per garantire a Carlo Fuortes un’uscita con onore da Viale Mazzini e preparare così lo sbarco di Fratelli d’Italia in Rai. Posto che sarà preso, a cda invariato, dal dirigente interno Roberto Sergio. Sicché nel gioco dei veti contrapposti  la Lega minaccia di astenersi sulla norma che riguarda gli enti lirici – lo sblocca Fuortes – ed è un elemento in più al tavolo delle trattative. Anche perché c’è da scegliere pure il successore di Lamberto Giannini a capo della Polizia. Per grammatica la Lega, visto che esprime il ministro dell’Interno, vorrebbe una forte voce in capitolo. Il nome è quello di Vittorio Pisani, ma anche in questo caso non c’è l’accordo. Il cortocircuito nelle piccole dinamiche interne al governo è spiegato anche, da fonti di Palazzo Chigi, con il mancato feeling fra Piantedosi e Meloni. E dunque: sarà per la prossima volta. Anche in questo caso. Mantovano, che è sottosegretario con delega ai Servizi, ha voce in capitolo su tutti i dossier. Non c’è nomina che non gli passi sulla scrivania. Anche sul successore di Bruno Frattasi manca un sì corale del governo: l’ormai ex prefetto di Roma è stato scelto alla guida del dipartimento che si occupa di cybersicurezza e da due mesi non è stato sostituito. I nomi girano nell’aria, ma alla fine vengono bruciati. E tutto si mischia e si confonde per finire con una grande frenata. Meloni accetta il rinvio sulle nomine e dunque cede, ma in compenso incassa senza traumi la norma sulle fondazioni liriche, quella che le serve per muovere il pachiderma Rai. E soprattutto Carlo Fuortes, un manager indicato da Mario Draghi su forte spinta del centrosinistra. Sicché dopo due e mezza di ritardo, il Cdm dura una ventina di minuti: si parla di emergenza idrica e di fondazioni liriche. Per il resto si vedrà.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.