Artem Uss (Ansa)

il commento

La fuga di Artem Uss, tra commedia e il precedente di Mifsud

Salvatore Merlo

Altro che intelligence. Sulla fuga del russo sospettato di spionaggio, i servizi dicono: “Non ci avevano avvertito”. D’altra parte non è la prima volta che accade una cosa del genere

Semplifichiamo estremamente. Il figlio di un governatore russo amico di Putin, ricercato negli Stati Uniti e sospettato di essere una spia, fugge dagli arresti domiciliari in Italia alla vigilia della sua estradizione a New York, si libera del braccialetto elettronico che non funzionava come quello dell’orsa Jj4  e ricompare a Mosca qualche giorno dopo mentre il padre ringrazia certi misteriosi  “amici stranieri”, si presume italiani, che lo hanno aiutato a scappare. Nessuno vigilava. Nemmeno i servizi segreti. Insomma Artem Uss, ricercato per frode bancaria, violazione dell’embargo sul petrolio venezuelano e sospettato dagli americani di “traffico di materiale militare dual use” era meno controllato di un ladro di motorini. Ecco all’incirca il commento informale dei servizi segreti italiani: “Nessuno ci aveva avvertito”.


La sola idea che i servizi segreti debbano essere avvertiti da qualcuno sul fatto che in Italia c’è un tizio russo amico di Putin agli arresti domiciliari getta, com’è evidente, un’ombra di comicità su tutta questa faccenda. E in un lampo questa risposta fa piazza pulita di decenni di leggende nere sui servizi deviati, sulle menti raffinatissime, sui burattinai nell’ombra. Decade persino la definizione di “intelligence”, che fa evidentemente riferimento a qualcosa che difetta, per così dire. Uno si aspetterebbe almeno che i servizi segreti siano esperti nel girare attorno ai fatti con le parole e le virgole, e invece quelli ti rispondono: “Nessuno ci aveva avvertiti”.

Oppure, ecco l’altra risposta pronunciata con l’aria un po’ proterva e un po’ vendicativa di ogni personale impiegatizio alla fine di una giornata di lavoro: “Che c’entriamo noi con la frode bancaria?”. E in effetti, come dicono i netturbini dell’Ama di Roma: e che c’entriamo noi con la monnezza? Sicché c’è da chiedersi se i dirigenti del controspionaggio “ci sono” o “ci fanno”. D’altra parte è la seconda volta che succede una cosa del genere. Qualche anno fa gli americani cercavano un misterioso professore maltese, tale Mifsud, sospettato di spionaggio. Un uomo centrale nel cosiddetto “Russiagate” e “scomparso” in Italia nel 2018.  Ebbene, mentre gli americani dell’Fbi lo cercavano per tutto l’orbe terracqueo (citazione), e mentre i nostri servizi segreti dicevano al ministro della Giustizia americano William Barr che Mifsud era sparito, sapete dov’era il professore maltese? Era in Italia, ovviamente. Girava tranquillamente in automobile in autostrada tra il Lazio e la Toscana, prenotava alberghi su booking, mangiava nei ristoranti, si sparava un panino in autogrill e faceva acquisti con la sua carta di credito: Ostia, Orbetello, lago di Bracciano, San Gimignano... Probabilmente, anche in quel caso, nessuno li aveva avvertiti. La banca di Mifsud in effetti avrebbe dovuto inviare un telegramma ai servizi segreti, un po’ come Artem Uss avrebbe dovuto andargli a suonare al campanello di casa in piazza Dante a Roma: buonasera sono un nipotino di Putin. 

 

E’ impossibile individuare, fin negli uffici più periferici dei servizi, i nomi di tutti i dirigenti, semidirigenti e funzionari nominati dai vari uomini politici per i loro giochi di corrente o di partito. Ma una semplice ricerca negli archivi di giornale, anche solo fra i titoli degli ultimi quindici anni, spalancherebbe di fronte agli occhi di chiunque uno spaventoso sospetto: i servizi sono lottizzati come la Rai. Ogni candidato direttore o vicedirettore, questo è esplicito, ha un suo sponsor di partito. E se poco poco questa cosa funziona come alla Rai, o come nei cda delle aziende partecipate o nelle fondazioni o nei musei, dove a dirigere o vicedirigere ci mettono pure un cetriolo purché risponda al telefono quando chiama l’onorevole e poi inviti in trasmissione anche il senatore, ecco che forse si spiegano tante cose. La comica tragedia dell’inadeguatezza. Del resto c’è poco da meravigliarsi. In ogni partito ci sono le correnti, o lobby, ognuna con il proprio salotto, le proprie leggi di accaparramento, i propri uomini di punta, di rincalzo, di tacco o di gomito: i reggi calze e le mezze calze. Tutti sparsi negli apparati, nell’intendenza e nelle aziende pubbliche, come foglioline di prezzemolo sul pesce lesso. La chiamano “qualità” delle nomine.  

Non si sa tuttavia se sia più consolante pensare che questa storia del russo fuggito sia una farsa dell’inadeguatezza, una storia di complicità dolosa o forse l’effetto di un calo di tensione persino morale, e generalizzato, nei confronti della Russia e di ciò che accade in Ucraina. Come non notare, d’altro canto, che tra cripto putinismo o disinteresse, i partiti italiani sono ormai all’incirca tutti sulle stesse posizioni: Lega, Forza Italia, Pd e sinistra radicale. Persino gran parte di Fratelli d’Italia, esclusa Giorgia Meloni. Nel 2022 Mario Draghi espelleva dall’Italia spie e diplomatici russi dell’ambasciata di Roma. Nel 2023 il figlio di un oligarca fugge dagli arresti prima che si possa consegnarlo agli americani. Qualcosa è cambiato, no?
 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.