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il commento

Con due donne al comando, anche l'Italia metterà al centro la biopolitica

Marina Terragni

È emozionante che tocchi a due leader femminili occuparsi dei temi dell'8 marzo. Uno scontro tra le posizioni transumane di Elly Schlein e quelle neoumane. Due mondi diversi

Mentre in Italia la generazione Zeta lotta per i bagni gender neutral nei licei e nelle università, il Daily Mail ci informa che in Gran Bretagna, dall’Essex all’Oxfordshire, giovanissimi Alpha si convocano su TikTok e Snapchat e mettono a soqquadro le scuole perché rivogliono le ritirate divise per sesso, si ribellano ai pronomi e alle uniformi unisex e invitano i politici a mollarli e a tornare “a occuparsi di bollette e del costo della vita”. 

 

Ogni eccesso genera i suoi anticorpi: sembrerebbe uno dei molti segnali della wokeness in declino. Anche se in un suo recente articolo su Compact in cui definisce i woke come “minoranza relativamente privilegiata di una minoranza autorizzata a partecipare a un seminario di alta qualità di un’università d’élite”, il filosofo Slavoj Žižek avverte che “wokeness is here to stay”, la wokeness è destinata a restare. Dovremo continuare a farci i conti. 

 

Qui da noi non abbiamo neanche cominciato. Molti sostenitori di Elly Schlein dicono di non essere d’accordo con le sue posizioni transumane – dal voto in Europa a favore della maternità surrogata alla sua simpatia per la libera identità di genere (self-id) – ma pensano che questa sia roba tutto sommato marginale, i temi “veri” sono cose come il salario minimo e la lotta alla povertà. 

 

Il fatto è che nei paesi anglosassoni le questioni biopolitiche – chiamiamole così – altro che marginali, stanno da tempo al centro della scena. La premier scozzese Nicola Sturgeon si è dimessa perché con la sua legge trans si era infilata in un rovinoso cul de sac. Per non parlare degli Stati Uniti, prima linea della guerra dei bagni. In Spagna la maggioranza Psoe-Podemos si sta giocando la pelle su Ley trans e “si es si”. E nei suoi sermoni anti occidentali Vladimir Putin non manca mai un passaggio sulle nostre democrazie decadenti che non distinguono più tra uomini e donne e soccombono alla cancel culture

 

Dalle nostre parti una destra compatta sul gender criticism come fattore identitario – ribadito dalla recente intervista di Giorgia Meloni a Grazia – si contrappone a una sinistra ambigua e intermittente, con trans-acuti come il ddl Zan alternati alla fuga dai temi ritenuti rognosi e “divisivi”, tenuti fuori dall’agone principale. Strategia che però non tiene più per svariate ragioni. 

 

La prima è che si è già compiuta la trasformazione del Pd in un “partito radicale di massa” (Luca Ricolfi, in linea con la profezia del filosofo Augusto Del Noce nel suo Il suicidio della rivoluzione). Da tempo i diritti sociali sono diventati sovrastrutturali rispetto al pacchetto dei “diritti civili” con cui la sinistra ha tappato il buco spalancatosi nel suo orizzonte dopo la fine della Guerra fredda e il dileguarsi della prospettiva rivoluzionaria. Destino che ha accomunato tutto il progressismo occidentale, come racconta Sahra Wagenknecht, già leader della tedesca Die Linke, nel suo Die Selbstgerechten, Gli Arroganti, I Presuntuosi (titolo italiano: Contro la sinistra neoliberale).  

 

Wagenknecht parla di sinistra modaiola che ha “defocalizzato il tema dei diritti sociali per orientarsi sui diritti civili fondando il modello del ‘neoliberismo progressista’” che ha spianato la strada alla vittoria dei partiti di destra, “nuovi partiti operai”.  

 

“La narrazione dei liberali di sinistra” scrive “non consiste altro che nei messaggi del neoliberismo confezionati però in maniera più graziosa ed elegante”. Oggi “quando parliamo di sinistra ci riferiamo a una politica che si occupa degli interessi del ceto medio laureato”, che “non pone più al centro problemi sociali e politico-economici… che apprezza l’autonomia e l’autorealizzazione del singolo più che la tradizione e la comunità”, esprimendo “estrema intolleranza verso chi non condivide la sua visione delle cose”. 

 

Il risultato è che “gli elettori votano a destra perché sono stati abbandonati da tutte le altre forze politiche e non si sentono più apprezzati dal punto di vista culturale”: il famoso basket of deplorables, come Hillary Clinton definì il popolo dei trumpiani. 

 

Le posizioni dirittiste e transumane della neosegretaria del Pd Schlein, debole sui temi sociali ma molto ben definita su quelli “civili” (“una femminista queer”, l’ha definita Nichi Vendola) dovrebbero agevolare lo scioglimento di ogni residua ambiguità a sinistra (Prodi e Franceschini fluid?).

 

Assolutamente eccitante che tocchi due donne a confrontarsi su questi temi (che 8 marzo!): ovunque, del resto, la partita è in mano a personalità politiche femminili.

 

Il fatto è che per declinare soluzioni efficaci ai problemi sociali devi prima chiarire l’idea di civiltà che ti orizzonta e gettare le fondamenta della casa che vuoi costruire. Economia, lavoro, produzione e riproduzione, convivenza umana, politiche ambientali, migrazioni, rapporto tra comunità e individuo, e tra stati nazionali ed Europa… Le cose cambiano se progetti, per esempio, la totale emancipazione dalla realtà materiale a partire dai corpi incarnati (“l’umanità sembra sopportare sempre meno realtà e investiamo sempre più risorse per sfidarla” scrive Mary Harrington nel nuovissimo Feminism against progress) o se invece, in una prospettiva neoumana, assumi il limite, depotenzi l’idea di individuo, riporti al centro l’interdipendenza, la fragilità, il bisogno di dare e ricevere cura. Sono proprio due mondi diversi. 

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