(foto EPA)

il passo indietro

Amore e dovere. Sturgeon lascia la guida della Scozia

Cristina Marconi

La “first minister” non si sente più al cento per cento. L’effetto sull’indipendenza (e l’eco di Jacinda Ardern)

Nicola Sturgeon si è dimessa, a sorpresa, dopo quasi nove anni di fulmini e saette a capo del partito indipendentista scozzese Snp e da “first minister” di Edinburgo, un ruolo che ha ricoperto con un’intensità e una competenza, mostrata soprattutto durante la pandemia, che le hanno riconosciuto anche i nemici di sempre, ossia tutti gli inquilini di Downing Street, che se la sono dovuta vedere con una delle politiche più abili e pugnaci della scena internazionale. Eppure, nonostante i successi elettorali e l’aver modificato in maniera radicale la scena politica scozzese, spazzando via un Labour un tempo forte, la tanto agognata separazione da Londra dopo 300 anni di unione, missione politica di una vita, non è stata raggiunta. E il veto usato da Londra per bloccare, nelle ultime settimane, la proposta di legge sul riconoscimento delle persone transgender dai 16 anni senza bisogno di visita medica hanno mostrato una frattura, un segnale di debolezza da non sottovalutare nella strategia della “first minister”. Quindi appena ci sarà un successore, Sturgeon se ne andrà a fare la deputata semplice, la backbencher, a 52 anni, almeno fino alle prossime elezioni del parlamento di Holyrood, nel 2026. Le ragioni, esposte durante una conferenza stampa a metà della mattinata di ieri, rimangono in filigrana e ruotano intorno a un senso di logoramento del suo ruolo e del suo possibile apporto alla causa che le sta a cuore, quella del divorzio dall’Inghilterra. “So che mentre il tempo passa avrò sempre meno energia da dare a questo lavoro”, ha spiegato Sturgeon, “e non posso svolgere questo lavoro se non su una base del 100 per cento. Il paese non merita nulla di meno”.

 

Insomma, il momento è ora, e non solo perché le ultime settimane sono state più difficili di un qualunque momento nel passato o perché nei sondaggi la sua popolarità, un tempo stellare, è scesa a livelli che farebbero comunque la gioia del premier Rishi Sunak. La politica è cambiata, ha spiegato Sturgeon, con parole che a qualcuno hanno ricordato quelle della neozelandese Jacinda Ardern, anche lei dimissionaria in un momento di forza in calo e di attacchi crescenti. “C’è molta più intensità, direi addirittura brutalità, nella vita di un politico rispetto a qualche anno fa… Di questo risenti tu e quelli che ti sono intorno”, ha spiegato la leader scozzese, lasciando intravedere ragioni anche personali dietro a una scelta di cui solo i suoi fedelissimi erano a conoscenza. Fatto sta che nel giorno del suo addio, il sostegno per l’indipendenza scozzese è balzato nei sondaggi, a riprova che l’idea di voltare pagina potrebbe servire. In una scena politica in cui la presenza femminile è fortissima in ogni senso possibile, a succedere a Sturgeon potrebbe essere Kate Forbes, responsabile delle Finanze, ma la partita è aperta. Ex vice di Alex Salmond, Sturgeon è diventata leader e “first minister” scozzese nel 2014, dopo il referendum in cui il 55 per cento degli scozzesi ha votato contro l’indipendenza. I tentativi di tornare alle urne, soprattutto dopo una Brexit che in Scozia è stata bocciata dal 62 per cento nel 2016, si sono scontrati contro la fiera opposizione di Downing Street, tanto che Sturgeon stava trasformando le elezioni generali in voti sull’indipendenza, una strategia bocciata dalla nuova leva del suo partito.

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