Foto di Maurizio Brambatti, via Ansa 

l'intervista

Cosa manca all'Italia per diventare l'hub del gas europeo. Parla Dialuce (Enea)

Valerio Valentini

Le scorte per l'inverno. Le buone abitudini da non disperdere. La cultura del "no" da combattere. Il nucleare. Il dialogo con il presidente dell'Agenzia nazionale per le energie rinnovabili

Sono gli alibi, che vanno combattuti. “Quelli che già conosciamo, ahimè, troppo bene. E quelli in cui potremmo rifugiarci”. Quando Gilberto Dialuce parla, è difficile stargli dietro. Perché in ogni frase c’è un numero, un dato, una percentuale. “Deformazione professionale”, sorride lui, come a giustificarsi. E sia. Ma tocca comunque chiedergli di semplificare, almeno all’inizio. “Diciamo che, una volta tanto, il generale inverno non ha giocato in favore della Russia”, osserva il presidente di Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. “Le temperature straordinariamente miti hanno giocato in nostro favore, certo. Ma ad aver inciso sul calo dei consumi di gas è stata anche la nostra morigeratezza: il rincaro dei prezzi ha frenato i consumi industriali e disincentivato gli sperperi, e anche le campagne di sensibilizzazione, non ultima quella di Enea, hanno influito. Nel complesso, abbiamo consumato il 15 per cento di gas in meno. E nessuno, mi pare, ha sofferto il gelo”. Vuol dire che si può fare? “Vuol dire che si può risparmiare, sì”.

 

Eccolo, allora, l’alibi da evitare. “Mi auguro che non si inneschi una dinamica opposta a partire dal prossimo inverno in nome del fatto che ‘tanto il gas potrebbe costare meno’. Mi auguro che le buone abitudini adottate dai consumatori divengano di uso comune. E che si punti davvero, semmai, su un potenziamento delle rinnovabili. Perché, certo, il boom di prezzi del gas è stato una somma di eventi negativi. Ma il cambiamento climatico è invece, ahimè, una realtà, per certi versi già irreversibile”.

 

E poi c’è l’altro alibi. E pure questo ha a che fare con le rinnovabili. “Sì, perché troppo a lungo di rinnovabili si è parlato in modo vago e approssimativo. E proprio nell’illusione di inseguire traguardi sfidanti e lontani si è rinunciato a realizzare quei passi concreti verso la decarbonizzazione e quelle infrastrutture che invece erano essenziali, e lo sono tuttora se davvero si vuole, come si dice, fare dell’Italia l’hub energetico d’Europa”. Partiamo da qui. “Devo confessare che spesso ho un senso di déjà vu. Perché si tratta di un’idea già proposta e contemplata dai piani energetici di altri ministri dello Sviluppo Economico”, risponde Dialuce, ricordando i suoi lunghi trascorsi ai vertici del Dipartimento Energia di Via Veneto. “Vennero firmati anche degli importanti accordi di collaborazione con l’Algeria. Poi tutto venne interrotto anche in virtù delle proteste di chi diceva che puntare troppo sul gas nel breve termine avrebbe significato ripudiare le rinnovabili”. La guerra, e la crisi energetica, ci hanno reso tutti meno schizzinosi? Ci hanno fatto mettere i piedi per terra, rinunciando ai velleitarismi ideologici? “Non direi. Spero, semmai, che si sia capita una cosa: che la strategia energetica, oggi, non può fare a meno di nessuna componente. Potenziare la rete del gas e finanziare in modo intelligente e convinto le energie pulite e l’efficienza energetica sono due imperativi complementari, non in conflitto tra loro”.

 

E a proposito di infrastrutture: quelle che abbiamo sono sufficienti, per sostenere il sogno di un hub europeo del gas? “Non si parte da zero, assolutamente. Le nostre condutture a Passo Gries e a Tarvisio, che ci mettono in collegamento con Svizzera e Austria, sono reversibili. Vuol dire che di solito le usiamo per importare gas dal nord, ma sono già predisposte per l’esportazione. Da lì, ogni giorno possono transitare fino a 40 milioni di metri cubi di gas: significa circa 10 miliardi l’anno”. Sono tanti o pochi? “Teniamo conto che, nei picchi di freddo, l’Italia arriva a consumare fino a 440 milioni di metri cubi di gas al giorno. Dunque no, non bastano affatto per diventare un hub per il resto d’Europa”. E dunque? “Dunque bisogna importare di più. I rigassificatori sono fondamentali. Quello di Piombino dovrebbe essere attivato ad aprile, in linea con le previsioni. Per quello di Ravenna occorrerà attendere almeno l’estate del 2024. Insieme, potranno fornire 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno, tramite Gnl”. Non basta ancora. “No. Se vogliamo diventare un hub del gas servono anche altri rigassificatori. E poi, soprattutto, occorrerà aumentare l’import dall’Algeria, e procedere al raddoppio del Tap. E qui, però, si viene a un altro problema, forse perfino più importante”.

 

Ovvero? “Il gas per lo più arriva da sud. Noi dobbiamo portarlo a nord. Vuol dire che il potenziamento della dorsale appenninica a cui lavora Snam è fondamentale. E invece a metà strada, in Abruzzo, si è prodotto un collo di bottiglia”. E anche qui, i ritardi si sono accumulati. “Sì, perché la realizzazione del gasdotto che dalla Valle Peligna conduce a Foligno, e da lì a Minerbio, in Emilia-Romagna, per anni è stata bloccata. Autorizzai io quattro anni fa la centrale di spinta a Sulmona, ma solo nell’ottobre scorso si sono superate le opposizioni della regione Abruzzo sul gasdotto grazie all’intervento della presidenza del Consiglio. Ci vorrà qualche anno ancora, per completare la dorsale”. E insomma la sfida, oltre che infrastrutturale, è anche culturale. “Certo. La cultura del no, la sindrome del Nimby, non aiutano”.

 

Un tabù che vale anche per il nucleare? “Nell’attesa della svolta sulla fusione nucleare, Enea sta puntando molto sulla ricerca per il nucleare di quarta generazione. Stiamo lavorando per testare i primi prototipi basati sulla tecnologia del raffreddamento a piombo fuso, con standard di qualità molto elevati. E poi ci sono gli Small Modular Reactor: dei piccoli reattori da poche decine di MW costruiti in serie e poi trasportati e installati dove richiesti. Sono gli stessi, del resto, che si usano da tempo per i sottomarini militari o per le navi rompighiaccio”.

 

Venendo al più breve periodo, invece. Siamo a sicuro con le riserve di gas, per i prossimi mesi? “Dobbiamo ancora sperare che non ci siano picchi di freddo tardivi. Giornate di gelo a marzo, come talvolta accade. Perché in quel caso, pur avendo gli stoccaggi pieni, si fatica a soddisfare il fabbisogno giornaliero”. La dipendenza dalla Russia è dunque archiviata? “Dalla Russia importiamo ancora fino a circa 25 milioni di metri cubi al giorno. Meno dell’8 per cento della richiesta quotidiana media, che è di 320 milioni nei giorni invernali. Il resto viene dall’Algeria (60 milioni), dal nord Europa (40 milioni), e dal Tap (25 milioni) e dai tre rigassificatori già operanti. Poi c’è qualcosa di nostra produzione, e 90 milioni che traiamo dagli stoccaggi”. Siamo sulla buona strada? “Ma non dobbiamo scantonare”.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.