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(Quasi) caduto

Fuortes pensa di salvare la Rai mandando in onda 1.117 spot di Fiorello

Salvatore Merlo

Da quando si è insidiato, il nuovo governo di centrodestra pensa con alterna pendolarità di mandare via l'amministratore delegato: non solo per ragioni di equilibrio politico, ma anche per motivi industriali

Il piano industriale acefalo, gli ascolti in calo, le spese per il lavoro dipendente che ormai superano il miliardo di euro, i tagli imposti sul prodotto e non sui costi fissi, lo strapotere di sindacati che talvolta riescono persino a orientare il palinsesto. Da quattro mesi, da quando cioè si è insediato, il nuovo governo di centrodestra pensa con alterna pendolarità di mandare via l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes. E non solo per ragioni di equilibrio politico. Anche per ragioni industriali. Ma il governo non ci riesce. Anche perché non ha le idee chiare, e Fuortes è un navigatore trasversale, che a Roma ha gestito enti culturali in continuità con le amministrazioni Veltroni e Alemanno, Marino e Raggi, e che ha qualche amico persino tra gli uomini di Giorgia Meloni. Così, insomma, l’agonia dell’amministratore delegato, che va in parallelo a quella dell’azienda, è longeva. Il suo coma è perenne, il suo respiro è sempre il penultimo. Sta per cadere, ma è più facile che scivoli dalle scale che dalla poltrona.  

 

Qualche giornale ha scritto, per essere esatti, che il sessantasettenne Fuortes, ex sovrintendente del teatro dell’Opera di Roma, è sostanzialmente “congelato” a Viale Mazzini. Un linguaggio da filetti di merluzzo Findus. Eppure la Rai è un semi disastro. Nell’ultimo anno la televisione di stato ha segnato una perdita verticale di pubblicità, -14,8 per cento, dovuta anche a una delibera dell’Agcom che l’ha fortemente penalizzata, ma comunque un tonfo da 100 milioni di euro. Il 2022 è stato anche l’anno del  testa a testa con Mediaset negli ascolti. Crollati. La differenza tra il polo pubblico e quello privato è infatti ormai di appena 87 mila persone, secondo il Sole 24 Ore.  

 

Mediaset potrebbe anche superare la Rai. E lo stesso Fuortes, se non è eccessivo usare questo verbo, lo pensa. O lo teme. Ragione per la quale, raccontano in Rai, lì dove il chiacchiericcio malizioso da sempre cola giù dalle labbra come da una grondaia dopo la pioggia, questo manager senza alcuna esperienza di grande azienda, tantomeno televisiva, oltre a tagliare tutto il tagliabile per cercare di riportare il bilancio in pareggio, sta spingendo la propria inquietudine fino a caricare Fiorello e il suo programma del mattino su Raidue di speranze salvifiche totali. Surreale, ma vero.

 

Solo nei trenta giorni precedenti all’avvio del programma, per dire, l’amministratore delegato della Rai ha chiesto la messa in onda di millecentodiciassette spot promozionali di “Viva Rai2!”. Un’enormità. Per intendersi, il Festival di Sanremo, l’anno scorso, nei 47 giorni precedenti alla messa in onda, era stato pubblicizzato con 473 spot. Quasi tre volte di meno. Basta d’altro canto accendere un canale Rai a un’ora qualsiasi, attendere qualche minuto, per imbattersi immancabilmente  in uno spot con Fiorello.  Che non ne avrebbe nemmeno bisogno, perché è un campione di audience per i fatti suoi. Ma poiché Fuortes si specchia in Fiorello, e crede che il successo di quello corrisponda al suo, ecco che l’ansia lo spinge a sovraesporre l’artista con una media di 17 spot al giorno. Il senso editoriale di questa scelta sfugge ai più, in azienda. Ma non a Fuortes, che pare non sia mai attraversato nemmeno dal sospetto di poter avere torto. Invece di essere tormentato dal dubbio, egli è tormentato dalla certezza.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.