Il retroscena

"La Rai? A noi!". L'incontro segreto Meloni-Fuortes: Rossi diggì o sarà scontro

Simone Canettieri

La premier vede l'ad di Viale Mazzini. Fratelli d'Italia è l'unico partito escluso dalla gestione dell'azienda. Il governo valuta di cambiare la legge sui mandati del Cda

Si sono incontrati, in gran segreto, mercoledì a Palazzo Chigi. Per la prima volta. Giorgia Meloni e Carlo Fuortes non si conoscevano. Un’ora di colloquio sulla Rai che segna l’apertura del dossier da parte del governo. L’ad nominato da Mario Draghi si trova in una situazione complicata: il piano industriale che non decolla, i conti claudicanti, il sorpasso di Mediaset negli ascolti di giornata. Ma soprattutto è espressione di un’altra maggioranza. Stesso discorso per il cda, privo di esponenti in quota Fratelli d’Italia, ormai razza padrona. Il mandato di Fuortes scade nel 2024. Meloni gli ha prospettato due soluzioni: l’innesto di un direttore generale, Giampaolo Rossi, oppure sarà scontro. 


E’ in corso un’accelerazione. In queste ore la maggioranza ragiona sulla possibilità di presentare un emendamento alla manovra che modifichi il tetto dei due mandati per i consiglieri d’amministrazione della Rai. Un altro veicolo potrebbe essere il decreto Mille proroghe atteso sempre a fine anno. E’ l’unico modo per “sbloccare Rossi”. 

 

Il trasversalissimo uomo di FdI a Viale Mazzini, già nel cda ai tempi di Fabrizio Salini, se domani Fuortes si dimettesse potrebbe sì sostituirlo con l’elezione della nuova governance, ma durerebbe fino alla primavera 2024. Senza la possibilità di un terzo mandato pieno. Una mossa del genere, va detto, è valutata con estrema cautela da parte di Meloni. Alle prese con consigli contrastanti. C’è chi le dice di andare dritta cercando lo scontro con Fuortes e chi invece la invita alla calma, per arrivare all’obiettivo senza strappi.   

 

La modifica della legge, il lodo Rossi, dovrebbe passare anche dal via libera del Quirinale. Dentro Fratelli d’Italia sono pronti alla pugna. Sventolano la bandiera del pluralismo “calpestato: è cambiato il panorama politico, ma nella dirigenza e nella linea di comando dei tg ci sono ancora gli uomini e le donne indicate da Draghi, dal Pd e da parte del M5s. Poi da Lega e Forza Italia. Insomma, tutti eccetto noi che guidiamo il governo. Questo è intollerabile”. Con Rossi, ai tempi di Salini e Foa, Fratelli d’Italia dall’opposizione è stata comunque in grado di giocare tante partite sebbene di sponda. “Ma ora è un’altra fase politica”.

 

L’unico accordo che sembrano aver trovato Meloni e Fuortes riguarda il Tg2. Al posto di Gennaro Sangiuliano, assurto al ministero della Cultura, dovrebbe andare a Nicola Rao. Ma è poco, troppo poco. La musica è cambiata nel paese e la Rai deve tenerne conto, rilanciano fonti vicine al dossier che scotta e fa gola. E che soprattutto non è più rinviabile. La presidente del Consiglio ha intenzione di pensare alla Rai personalmente. Anzi, nei prossimi giorni vorrebbe creare una cabina di regia con Adolfo Urso (il ministero dell’Impresa e del Made in Italy dovrà occuparsi del nuovo contratto di servizio) e Giancarlo Giorgetti, titolare dell’Economia, e dunque azionista di Viale Mazzini, e l’immancabile Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario con delega al programma. 

 

La capa della destra si muove sempre con la consueta circospezione: un mix di cautela e cattivi pensieri. Non si fida fino in fondo degli alleati. Teme che al partito azienda Forza Italia una Rai a galla, purché non moribonda, potrebbe comunque non dispiacere. Dall’altra parte, si volta e vede Matteo Salvini. Il leader della Lega voleva tagliare già da questa manovra il canone dalla bolletta, ma come si sa gli è andata male. E poi, certo, c’è Fuortes: enorme monolite sulla strada della consueta lottizzazione. L’ad non ha intenzione di dimettersi. Non solo. Da quanto risulta al Foglio, avrebbe anche storto la bocca davanti alla possibilità di essere affiancato da un direttore generale come Rossi. Di fatto una sorta di commissariamento. La nomina, su sua proposta, dovrebbe passare dal cda. Ecco perché il faccia a faccia dell’altro giorno è andato così così. Una prima ricognizione. Raccontano a Palazzo Chigi che la premier sia “preoccupata” per i destini della tv di stato. Vuole metterci le mani. Per salvarla, certo.
   

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.