Foto di Mauro Scrobogna, via LaPresse 

critiche miopi

Quello che Conte sbaglia è la predica, non Cortina

Giuliano Ferrara

Razzolare male è di tutti, cari moralisti. Il problema invece è il populismo senza idee. Dal Reddito di cittadinanza, al carcere usato per indagare. Il peccato mortale resta la demagogia

La storia di Giuseppe Conte a Cortina, e il contorno di polemiche seguito, è un po’ ridicola. Conte non razzola particolarmente male. L’avvocato del popolo, permettendosi una settimana bianca alle Dolomiti, non fa niente di particolarmente scandaloso, è evidente. Razzola come può, e non è che razzoli male. La predica è il problema. E invece tutti lo accusano di razzolare male e di predicare bene. No. Al capo dei Cinque stelle riconvertiti al mélenchonismo va semmai rimproverato il tono demagogico con il quale difende, legittimo, il Reddito di cittadinanza, compresa l’idea che sia in atto una crociata contro i poveri, i deboli, i socialmente vulnerabili. In tanti smontano quel tipo di predica con argomenti, giusti o sbagliati, ma argomenti di una certa tempra razionale. E Conte predica invece male.

 

Chi può lavorare e ha l’età giusta per farlo deve essere avviato al lavoro, con qualche serio investimento formativo dello stato e con qualche sacrificio da parte sua, nella ricerca del massimo livello di qualificazione e di condizione ambientale possibile, ma senza inseguire l’impossibile. Le retoriche sul fannullone sembrano spesso azzeccate, i problemi di disaffezione alla fatica di lavorare e vivere e di ricerca facile di una qualsiasi rapida e indolore mobilità sociale ci sono, ma che il lavoro sia spesso sottopagato, mal garantito, estremamente precario, che sia non conveniente rispetto a un sussidio di stato, in certe condizioni familiari e ambientali, in un certo rapporto con il lavoretto in nero, non si può dire sia falso. 

 

Il Reddito di cittadinanza, che a tutta prima poteva sembrare un modo scandaloso di procurarsi consenso a spese della fiscalità generale, un consenso che poi è puntualmente arrivato, insieme con il reddito procurato, è stato anche uno strumento di limitazione della crisi dei bilanci familiari in un momento di seria difficoltà sociale, e passando attraverso la pandemia si è rivelato quasi un toccasana.

 

Insomma c’è spazio per argomentare e predicare bene, per discutere come si fa in una democrazia matura, e poi ognuno razzoli come può. Il problema dei moralismi cupi e degli intransigentismi etici, spesso farlocchi, è sempre quello di come si razzoli. Invece la predica è decisiva, decisiva è la sua qualità, il suo ordito logico, la sua capacità di non eccitare bassi istinti. Di Pietro poteva contrarre prestiti dubbi, in fondo, e restituirli in una scatola di scarpe, si fu costretti a rimproverargli i comportamenti personali, i razzolamenti, che alla lunga si rivelarono vizietti non estirpabili, capaci di tagliare una brillante carriera populista, non perché predicasse bene, ma proprio perché anche lui predicava male, molto male.

 

Usare il carcere per indagare, buttare via la chiave o minacciare di farlo, concentrare l’attacco sui partiti politici cercando di impedire ogni decisione di legge che cambiasse le cose e perseguendo la demolizione delle istituzioni democratiche, eccetera. E ci sono nella nostra storia recente tanti altri casi di disinvoltura nell’essere e nel comportarsi di quelli che definimmo tanto tempo fa i moralizzatori moralizzati.

 

Ma la questione dirimente è sempre la predica, l’atto di parola pubblico e sociale, è lì che non si può sbagliare. Il peccato mortale è la demagogia, la poca voglia di fare battaglie anche popolari e populiste ma con argomenti solidi e elementi di prova, alla luce dei fatti e dei dati, che poi le si contraddica con i soliti segnali di scarso amore personale per l’austerità, che non si sia asceti intramondani, bè, questo era chiaro fin da subito, si sapeva già, ed è il fenomeno di minore interesse. Comportatevi come vi pare, ma predicate bene, in modo non demagogico. Sarebbe un progresso.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.