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la strategia

Così il nuovo picco dalla Cina mette alla prova il governo Meloni sul Covid

Luca Roberto

Il ministro Schillaci introduce l'obbligo di tampone per i viaggiatori da Pechino. L'esecutivo che faceva dell'allentamento delle restrizioni una propria bandiera apre la strada a Bruxelles per nuove chiusure dall'estero

Sono pur sempre quelli del reintegro dei medici No vax, della sospensione delle multe agli over 50 non vaccinati. Ma anche tra quelli che più esultarono per l'abolizione del green pass. O per la fine dell'app Immuni, resa ufficialmente fuori servizio dal primo di gennaio per scelta di questa maggioranza e festeggiata con tanto di grafiche sui profili social di Fratelli d'Italia. Per questo adesso che è alle prese con scelte complesse, come l'imposizione dei tamponi per chiunque arrivi dalla Cina, il governo Meloni è immerso in una specie di banco di prova. Mettere in secondo piano la teoria per far prevalere la pratica, che nel caso del virus non significa altro che restringere alcune maglie per ridurre il rischio dal punto di vista sanitario.

 

Del resto, il ministro della Salute Orazio Schillaci è sempre stato piuttosto cauto, giustificando anche la serie di misure prese dal governo di cui fa parte (come, per l'appunto, il ritorno in corsia dei medici non vaccinati) con ragioni contingenti, pratiche. Al bando l'ideologia dell'aperturismo a ogni costo, insomma. Molto più adatto ai leader di FdI e Lega. Ed è più o meno questa la ratio che ha convinto il titolare del ministero a prendere la decisione di imporre un tampone a chiunque sbarchi in Italia dalla Cina, visto che nel paese asiatico oramai la strategia di contenimento del virus è fuori controllo (proprio nel momento in cui Pechino sceglie di riaprire le frontiere). E da uno screening compiuto all'aeroporto di Malpensa è venuto fuori un tasso di positività di quasi il 50 per cento tra i passeggeri dei voli provenienti dalle città cinesi. Numeri che hanno convinto Schillaci a muoversi prima di tutti in Europa, seguito subito dopo anche dagli Stati Uniti.  

 

"La misura si rende indispensabile per garantire la sorveglianza e l'individuazione di eventuali varianti del virus al fine di tutelare la popolazione italiana", ha detto il ministro. Che già oggi riferirà in Parlamento sulla questione. Fatto sta che questa decisione unilaterale pone l'Italia come il paese più rigido a livello continentale in materia di controlli sanitari. Un atteggiamento piuttosto in contrasto con il progressivo allentamento delle misure decise all'epoca del governo Draghi, come questo esecutivo ha detto di voler fare dal suo insedimento, insistendo molto sul concetto di libertà. Ragion per cui, ad esempio, ieri il ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini, si è subito precipitato a chiedere che anche gli alleati europei facciano altrettanto. "L’Italia non può essere l’unico Paese a fare controlli anti Covid negli aeroporti per chi arriva dalla Cina", ha detto il segretario della Lega. "Sono in contatto con la Commissaria Europea ai Trasporti, Adina Vălean: ho chiesto che verifiche ed eventuali limitazioni siano applicati in tutta Europa per. evitare arrivi nel nostro Paese da aeroporti stranieri, e l’ho ribadito nel Consiglio dei Ministri. Sarebbe un errore grave, già commesso da 5Stelle e Pd", Una chiamata ad applicare politiche più restrittive che a Bruxulles hanno raccolto convocando con urgenza per oggi il comitato per la Salute pubblica, In cui l'Italia sarà visto come il paese che ha aperto la strada a nuove blindature dall'estero.

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