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Armi o non armi

Il Pd alla Camera vota compatto sugli aiuti all'Ucraina, ma rischia la palude del “né-né”

Marianna Rizzini

Conte che dà di guerrafondai ai governi Draghi e Meloni, Fratoianni che ringrazia la sua mozione pacifista, i dubbiosi pd silenti (ma il congresso incombe e i distinguo corrono sottotraccia)

Tra guerra e pace, ieri la Camera ha detto sì alle mozioni di maggioranza, Pd e Terzo Polo sul conflitto Russia-Ucraina, respingendo invece i testi del M5s e dell’Alleanza Verdi-Sinistra. E se Giuseppe Conte ha tuonato contro “la linea guerrafondaia delle armi a oltranza e zero negoziati”, a suo dire sposata del governo precedente e dell’attuale (“venga a metterci la faccia in Parlamento”, ha detto Conte all’indirizzo di Giorgia Meloni), il deputato pd e capogruppo dem nella commissione Esteri Enzo Amendola ha ribadito pieno sostegno all’Ucraina: “La guerra scatenata dalla Federazione russa contro l’Ucraina in maniera ingiustificata e illegale non è un conflitto tra due Stati”, ha detto Amendola, “ma una guerra di aggressione, un’invasione violenta, in cui gli attacchi che si stanno susseguendo in queste ore, in questi giorni, non distinguono tra obiettivi militari e civili ucraini. La strategia politica russa è imperniata sulla logica di potenza. Il Partito democratico non ha oggi bisogno di capriole o di abiure. Per noi è sempre stata netta in questi nove mesi la richiesta di un  cessate il fuoco e l’avvio di un negoziato, presupposto immancabile per una conferenza di pace. E’ un’urgenza soprattutto per coloro che sono dovuti scappare dal proprio paese. Non vedo nessuna contraddizione fra questa aspirazione e le scelte fatte con l’aiuto economico, umanitario e di difesa del popolo ucraino, poiché senza quello sforzo europeo e degli alleati della Nato non saremmo qui a dibattere di negoziati e di come avviarli”. E però ha anche sottolineato, Amendola, che “il sentimento profondo di pace e disarmo non è un tema sconosciuto nel nostro paese, anche per le tragedie che abbiamo vissuto, come testimonia la manifestazione dello scorso 5 novembre”.

 

Ed ecco che il sotterraneo dilemma che ha attraversato il Pd durante questi mesi traspariva dalla misura e dai toni che rimandavano al lavoro incessante tra commissioni e aula, racconta un parlamentare dem, per raggiungere la posizione unanime del voto di ieri: la mozione Pd è stata votata da 67 deputati su 69 (di cui due assenti giustificati), ma alla sinistra del partito c’è chi, sempre senza fanfare, dice di “comprendere” la posizione dell’alleanza Verdi-Sinistra. La posizione cioè che dice “no” all’invio di armi (non a caso Nicola Fratoianni ringraziava, ieri, chi aveva sostenuto la mozione Avs, e per sostegno intendeva forse anche quello verbale, proveniente dall’area pd più in sofferenza rispetto alla linea comune).

 

Per il Pd quella di ieri è stata infatti una prova di tenuta su sottofondo di larvata tensione, e non da oggi. All’inizio di settembre lo stesso Enrico Letta, intervistato da questo giornale, aveva parlato di “ipocrisie trasversali sull’Ucraina”, con la guerra “che è ancora lì, con le scelte nette che richiede a tutti”. In vista del congresso, “la posizione sull’Ucraina non sarà monolitica”, è il vaticinio di un veterano pd. Sembra infatti profilarsi all’orizzonte, in un’area del partito, la possibilità di accoccolarsi in una posizione “né-né” sul tema, anche visti i dubbi espressi, nei mesi scorsi, da Graziano Del Rio, Gianni Cuperlo e Francesco Boccia, per non dire di Rosy Bindi. Quanto al candidato alla guida del pd e governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, lo si è spesso sentito “augurarsi la pace ma distinguendo le responsabilità”, senza soffermarsi a lungo sulla questione armi. E c’è chi, nel Pd più convinto di dover continuare ad aiutare l’Ucraina anche inviando armi, individua il momento critico che ha dato la spinta alla linea “né-né” nella partecipazione del partito alla manifestazione del 5 novembre, una manifestazione la cui piattaforma, sulle armi, era alquanto silente.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.